22 Dicembre 2011, 07:42
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Il tarlo del racket è diffuso su tutto il territorio palermitano ma a Brancaccio, uno dei quartieri a più alta densità malavitosa del capoluogo, il problema è più sentito. Chiediamo di fare il punto della situazione ad Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo.
Ad oggi, che incidenza ha il fenomeno sulle attività del quartiere?
“E’ impossibile effettuare una stima precisa del numero di negozianti che pagano il pizzo o hanno rapporti con la mafia, sia perchè questi vengono alla luce con grande difficoltà, sia perchè si tratta di un fenomeno in continua evoluzione. Prova ne sia che se da un lato abbiamo un imprenditore che collabora con le forze dell’ordine, dall’altro ce n’è uno che di sicuro pagava prima, e continua a farlo anche adesso”.
Quali sono le realtà più problematiche e quali gli ostacoli?
“L’attuale crisi economica ci ha fatto sperare che una volta messo alle strette, qualsiasi imprenditore si sarebbe rifiutato di continuare a sottostare al ricatto mafioso, iniziando a collaborare con le forze dell’ordine. Così non è stato. Molti imprenditori sappiamo benissimo che hanno preferito mettere un piede in due scarpe, rifugiandosi dietro il semplice temporeggiamento del tipo: per ora non posso, ma pagherò”.
Problema di cultura?
“Il problema più grosso che ci troviamo ad affrontare è quindi proprio quello della mentalità. Non si tratta di mancanza di coraggio o timore di ritorsioni, che tra l’altro più volte abbiamo visto non esserci state, ma al contrario molti negozianti pagano anche nella speranza di poter ottenere qualche forma di vantaggio come “l’azzeramento della concorrenza”. Questi imprenditori sono più mafiosi dei mafiosi stessi”.
Esistono segnali di cambiamento evidenti e miglioramenti percepibili?
“Assolutamente sì. Anche se ancora il problema è che mancano quasi del tutto le denunce preventive, cioè quelle fatte dopo che il “picciotto” si è presentato ad annunciare la riscossione, molti imprenditori si sono ribellati e hanno collaborato positivamente con le forze dell’ordine. Purtroppo troppo spesso la denuncia arriva solo quando il pagamento è stato scoperto ma ritengo che il segnale sia comunque positivo. Al contrario tuttavia, nel contesto di Brancaccio la lotta alla mafia è ancora ad uno stato embrionale, a causa sicuramente della diffusione capillare del fenomeno all’interno del quartiere”.
Cosa possono fare le istituzioni, confindustria per prima, per aiutare gli imprenditori nella lotta all’estorsione?
“Confindustria ormai da anni chiede che lo stato crei delle leggi ad hoc. Una di queste per esempio potrebbe prevedere che al negoziante colluso sia ritirata direttamente la licenza; un’altra addirittura, potrebbe imporre controlli periodici sullo stato patrimoniale degli imprenditori così da evidenziare immediatamente situazioni sospette. Per quanto ci riguarda, già da tempo abbiamo deciso di collaborare con importanti associazioni come Addio Pizzo e Libero Futuro alle quali riconosciamo il merito di aver dato un grande supporto nella lotta alla mafia. Oltre questo, noi come Confindustria stiamo organizzando una serie di incontri con i singoli imprenditori per capire se e quando qualcuno si è presentato a riscuotere e, dall’altra parte, intendiamo avviare una collaborazione con le banche anche perchè spesso racket ed usura vanno volentieri a braccetto. Una cosa è certa: quando un nostro iscritto si è rivelato colluso, lo abbiamo sempre allontanato”.
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22 Dicembre 2011, 07:42