27 Aprile 2011, 18:36
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Chi è veramente Massimo Ciancimino? Oggi più che mai l’interrogativo stimola opinione pubblica e addetti ai lavori. Detrattori e sostenitori viaggiano, e non poteva essere altrimenti, su binari di giudizio opposti. Il figlio di don Vito ha voluto davvero tagliare i ponti con il passato oppure ha solcato la scena giudiziaria degli ultimi anni con il solo obiettivo di salvare il suo patrimonio?
In attesa di conoscere la verità, emblematica diventa la vicenda del grande affare del gas gestito da don Vito prima e dal figlio poi. Dentro vi è finito di tutto. Soldi a palate, intrecci societari, fughe di notizie e persino pesanti accuse contro il pool di magistrati che ha indagato sul tesoro di Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco, l’avvocato Giovanna Livreri e il tributarista Gianni Lapis (condannato assieme a Ciancmino jr) sostengono che i pm palermitani hanno pilotato le indagini per garantire l’impunità ai parenti di un magistrato. La procura di Catania ha aperto un’inchiesta al termine della quale il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione. Solo Lapis e Ciancimino si sono opposti e il giudice per le indagini preliminari ha convocato le parti il prossimo 30 maggio.
La considerazione di partenza è che in questi anni, tra i mille segreti rivelati, alcuni dei quali ad onor del vero riscontrati, Ciancimino jr ha custodito gelosamente nella sua memoria quelli che avrebbero condotto gli investigatori sino al tesoro del padre. Non a caso il procuratore Angela Tardio tuonava. “Non ha consegnato un bel niente” disse il rappresentante dell’accusa durante la requisitoria del processo d’appello, in cui Massimo Ciancimino è stato condannato a tre anni e mezzo per riciclgaggio. Questa è una verità processuale, anche se non ancora definitiva. Come non definitiva è la ricostruzione patrimoniale. La sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo nel gennaio scorso ha affidato a tre periti l’incarico di ricostruire le compagini societarie delle aziende confiscate, in sede penale, a Ciancimino. Gli esiti sono attesi a giorni.
Nel corso delle indagini e del processo, Ciancimino jr ha svestito i panni dell’accusato per indossare quelli dell’accusatore. Ha agitato sospetti. Ha sostenuto che parte del patrimonio della società del Gas, venduta agli spagnoli per 120 milioni di euro, era riconducibile a Ezio Brancato, funzionario regionale morto nel 2000. Un nome pesante, visto che si tratta del consuocero del pm della Direzione nazionale antimafia Giustino Sciacchitano. Ciancimino è andato oltre: alcuni magistrati palermitani, a suo dire, avrebbero sviato le indagini per favorire le eredi di Brancato, la figlia Monia e la moglie Maria D’Anna. Dichiarazioni che hanno fatto scattare l’inchiesta contro i magistrati, ingrossata dagli esposti dell’avvocato Giovanna Livreri, ex legale dei Brancato da cui è stata denunciata per truffa. Il 26 febbraio il pm ha chiesto l’archiviazione a carico del procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, del suo aggiunto Michele Prestipino e del capo della Direzione antimafia di Caltanissetta Sergio Lari, dei pm palermitani Roberta Buzzolani e Lia Sava, e di Giusto Sciacchitano. “L’avvocato Livreri e Massimo Ciancimino – si legge nella richiesta di archiviazione – hanno sostenuto che le quote di partecipazione di Ciancimino padre nella Gas erano fittiziamente detenute non da Lapis ma da Ezio Brancato e dopo la morte, dalle sue eredi. E vista la parentela con Sciacchitano i pm di Palermo avrebbero indirizzato le indagini su Lapis e non sulle Brancato, addirittura compiendo delle volute omissioni”.
Una tesi che, però, secondo il pm catanese non si può ritenere “del tutto disinteressata in quanto risultano comunque provati rilevanti interessi economici di Ciancimino con Lapis, molti dei quali relativi a ingenti risorse finanziarie e beni di ingente valore sottoposti a confisca”. Il pm riprende le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’appello ha condannato Lapis e Ciancimino e dove si sostiene che “è stato provato che intestatario fittizio delle quote di Vito Ciancimino fosse il Lapis. Anche perché Ciancimino non ha mai vissuto in prima persona l’evolversi della vicenda apparendo semmai la sua tesi il frutto di un’analisi a posteriori adattata al processo”. Il pm va oltre: “Anche volendo prescindere dalle motivazioni della Corte d’appello appare oggi certamente difficile sostenere in giudizio che le quote di Vito Ciancimino fossero attribuibili a Ezio Brancato e che quindi le eredi debbano rispondere del reato”.
Nessuna operazione sporca, dunque, da parte dei pm per cui Brancato era ed è rimasto fuori dalle indagini. Di lui non c’era, del resto, traccia nel pizzino trovato a Giuffrè e che diede il là alle indagini. Non c’era traccia nelle intercettazioni e nei documenti sequestrati e neppure nelle dichiarazioni dei pentiti Angelo Siino, Giovanni Brusca, Ciro Vara e Vincenzo Sinacori. Brancato era ed è rimasto un funzionario in servizio all’assessorato regionale all’Agricoltura in società con Lapis. Sulle vicende Brancato dal 2008 si è tornato a indagare, ma nulla si è aggiunto alle dichiarazioni di Ciancimino e Lapis. Le stesse dichiarazioni sulla base delle quali il pm oggi scrive: “Ritenuta l’infondatezza della notizia di reato in quanto gli elementi acquisiti nelle indagini non appaiono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
Diversa è stata la conclusione dell’inchiesta per Ciancimino, Lapis e gli altri indagati condannati in appello per il riciclaggio del tesoro di don Vito. Se è andata in maniera diversa lo si deve, non è un giudizio di merito ma una constatazione, ai magistrati oggi indagati a Catania. Un’informativa dei carabinieri il 23 agosto 2004 concludeva infatti che, nonostante le risultanze investigative, non c’era la prova che Massimo Ciancimino muovesse capitali illeciti. I pm Giuseppe Pignatone, Roberta Buzzolani e Lia Sava decisero di andare oltre quella informativa firmata dal capitano Antonello Angeli. Convocarono finanzieri e carabinieri, avviarono perquisizioni, rilessero centinaia e centinaia di brogliacci di intercettazioni, molti scritti a mano, e trovarono le prove che poi hanno retto in appello. Per le sue “inadempienze” il capitano Angeli è stato anche sottoposto a provvedimento di disciplinare.
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