02 Marzo 2010, 06:21
9 min di lettura
14.15. Il generale Mori smette di parlare. Si chiude l’udienza. I giudici hanno rinviato il dibattimento all’udienza del 6 aprile disponendo la citazione dell’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e dell’ex direttore degli affari penali del dicastero di via Arenula Liliana Ferraro.
14.00. Mori: “Il papello non è mai esistito, l’unica cosa che Ciancimino ha consegnato è la bozza del libro “Le mafie”… il post-it con scritto “consegnato spontaneamente al colonnello Mori del Ros” è stato fittiziamente inserito in un falso”.
13.45. Mori: “Ma quale trattativa? A Ciancimino dicemmo esplicitamente, più volte, che pretendevamo la resa incondizionata dei boss di Cosa nostra, in particolare Riina e Provenzano, e che in cambio di questo avremmo trattato bene le loro famiglie”. Il generale dei carabinieri Mario Mori, imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia, nega di avere mai trattato con la mafia e, nel corso di lunghe dichiarazioni spontanee rese ai giudici che lo processano, ripercorre tutti i suoi incontri con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, a partire dalla fine di luglio del ’92. Secondo l’ufficiale, Ciancimino, con il quale l’Arma aveva intrapreso rapporti confidenziali per potere giungere alla cattura dei latitanti mafiosi, in uno degli incontri chiese, in cambio di un suo contributo investigativo, “la possibilità di andare all’estero, il riconoscimento del ruolo di mediatore e un occhio di riguardo per i suoi problemi giudiziari”. “Noi rispondemmo – ha spiegato Mori – senza esitazione, cosa che non avremmo potuto fare se avessimo agito su mandato altrui, e chiedemmo la resa dei latitanti”. “Ciancimino, a quel punto – ha concluso – balzò in piedi e disse che lo volevamo morto”.
13.30 Mori: “Massimo Ciancimino si sta ritagliando il ruolo di vittima-spettator”Ma quale trattativa? A Ciancimino dicemmo esplicitamente, più volte, che pretendevamo la resa incondizionata dei boss di Cosa nostra, in particolare Riina e Provenzano, e che in cambio di questo avremmo trattato bene le loro famiglie”. Il generale dei carabinieri Mario Mori, imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia, nega di avere mai trattato con la mafia e, nel corso di lunghe dichiarazioni spontanee rese ai giudici che lo processano, ripercorre tutti i suoi incontri con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, a partire dalla fine di luglio del ’92. Secondo l’ufficiale, Ciancimino, con il quale l’Arma aveva intrapreso rapporti confidenziali per potere giungere alla cattura dei latitanti mafiosi, in uno degli incontri chiese, in cambio di un suo contributo investigativo, “la possibilità di andare all’estero, il riconoscimento del ruolo di mediatore e un occhio di riguardo per i suoi problemi giudiziari”. “Noi rispondemmo – ha spiegato Mori – senza esitazione, cosa che non avremmo potuto fare se avessimo agito su mandato altrui, e chiedemmo la resa dei latitanti”. “Ciancimino, a quel punto – ha concluso – balzò in piedi e disse che lo volevamo mortoe. Cerca di essere credibile agli occhi dei magistrati, ma le sue sono rivelazioni a rate, diluite nel tempo, e rese a distanza di 16 anni dai fatti”. Così il generale Mario Mori, sotto processo a Palermo per favoreggiamento alla mafia, ha stigmatizzato le accuse rese nei suoi confronti da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito, interrogato come testimone nel processo all’ufficiale. E ancora: “Grazie alle interviste rilasciate sui giornali, ad apparizioni televisive concertate, studiate fughe di notizie e annunci di rivelazioni eclatanti è stato celebrato, contro di me, un processo mediatico che non ha nulla a che fare con quello giudiziario celebrato da questo tribunale. Tutto ciò – ha aggiunto – ha ingenerato la convinzione che io sia l’ufficiale dei carabinieri che in modo disonorevole ha trattato con la mafia”.
13.00 Mori: “De Donno, sì con Ciancimino… voleva cartine di Palermo… De Donno il 18 dicembre tornò da Ciancimino che però voleva altre mappe. Poche ore dopo, il 19 dicembre Vito Ciancimino è stato arrestato. Non contribuì in alcun modo alla cattura di Riina ma ero convinto che ci avrebbe messi sulla pista giusta e di lì alla collaborazione piena il passo era breve… non ci ha mai detto chi fosse il suo interlocutore o di avere avuto documenti”.
12.50. “Non ho mai trattato con la mafia. I rapporti tra me, De Donno e Vito Ciancimino, introdotti in questo processo, rientrano nell’ambito di relazioni confidenziali che non hanno nulla a che vedere con una trattativa, come molti, come tanti pappagalli sostengono”. Cominciano così le dichiarazioni spontanee che il generale Mario Mori, imputato insieme al colonnello Mauro Obinu, di favoreggiamento aggravato, sta rendendo davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo.
12.40 Il presidente chiede: chi garantiva continuità nell’impunità a Provenzano? “L’unica cosa che mi disse (mio padre, ndr) tu sei troppo piccolo, non eri ancora nato quando è iniziata la vera trattativa. Qualcosa di continuo”, risponde Ciancimino jr. “Suo padre aveva una carta d’identità, perché il passaporto quando tutti gliel’avevano sconsigliato?”, domanda il giudice. “Era una cosa di libertà…”, risponde Ciancimino. “Ma non è che voleva andare in qualche altro paese che non fosse la Germania?”. “Mio padre non volava in aereo”. Il presidente della corte, Mario Fontana, termina le sue domande. Il pm Nino Di Matteo precisa qualche particolare col testimone. Si attendono le dichiarazioni spontanee del prefetto Mori.
12.15 La corte pone le sue domande al testimone. Vito Ciancimino avrebbe immediatamente informato i carabinieri che il suo referente principale era Provenzano, pur avendo un canale per giungere a Riina, e come il primo fosse contrario alla strategia stragista.
11.46 C’erano Mancino e Rognoni dietro la trattativa. Nel riesame del pm, Ciancimino jr tira fuori i nomi dei due politici. “Visto che mio padre non riteneva credibili i carabinieri, era stato rassicurato da un terzo soggetto che dietro la trattativa c’erano Mancino e Rognoni. Non so chi glielo ha detto a lui”.
11.30 Il controesame della difesa termina con il richiamo dell’avvocato Milio di un interrogatorio definito “anomalo” condotto dai pm Buzzolani, Sava e Pignatone nel 2005 in cui, fuori verbale, a Ciancimino vengono poste domande fuori dal suo processo e inerenti proprio i rapporti di suo padre con Mori e De Donno. Il riesame viene sostenuto dal pm Nino Di Matteo che richiama gli argomenti legati alla “trappola” del passaporto. Ciancimino ne spiega i motivi. “L’incontro dopo la cattura Riina doveva avvenire in territorio estero, perché il tradimento poteva avere ripercussioni”. Questa la ragione del passaporto e la “trappola” dei carabinieri.
11.25 Da chi arriva il suggerimento a Vito Ciancimino di fare il passaporto. Il signor Franco-Carlo? Provenzano? “Il suggerimento di Provenzano era dettato dal fatto che si poteva… vista la diffidenza del prove nei confronti dei carabinieri… di dire che i prossimi incontri, una volta catturato Riina, dovevano avvenire in territorio estero. I carabinieri rispondono che non avevano nessuna difficoltà a fare avere un passaporto per fargli fare incontri dove gli pareva. Mio padre accetta consiglio dei carabinieri contro tutte le indicazioni dei suoi legali, che presentare istanza per il passaporto. I carabinieri risposero “non si preoccupi”, seguiremo noi personalmente l’iter. I carabinieri lo sincerarono”.
11.00 Il problema delle mappe. Le carte che avrebbero portato alla cattura di Riina, sono state date da Provenzano a Ciancimino a Palermo? A Roma? Da chi furono discusse? L’avvocato Milio trova delle contraddizioni fra la deposizione di Massimo Ciancimino e i precedenti interrogatori. “Sono stato ‘sincerato’ dal paradigma di collaborazione di mio padre. Parliamo di 50 interrogatori, c’è un’evoluzione anche attraverso i documenti manoscritti da mio padre”.
10.40 Ciancimino ha riconosciuto alcuni collaboratori del signor Franco-Carlo (personaggio presuntamente legato ai servizi) nelle foto descritte ma non lui. Si sentivano attraverso il cellulare e, prima che esistessero i telefonini, “col gettone”. Ciancimino jr ribadisce la diffidenza di suo padre nei confronti degli ufficiali del Ros. “Non riescono a portare avanti le loro inchieste…” racconta il testimone. Sugli incontri con l’allora colonnello Mori risponde: “Ero presente e ho accompagnato il colonnello Mori fino all’ingresso del salone, fine giugno, inizio luglio 1992. Mio padre teneva un registratore spesso con sé ma non mi ha mai riferito di aver registrato i colloqui con i carabinieri”.
10.20 Chi ha dato il papello a Vito Ciancimino? Attorno a questo argomento l’avvocato Milio sta conducendo il controinterrogatorio, citando diversi verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino, in una udienza “elettrica” con scambio di battute fra accusa e difesa tanto da far intervenire il presidente della Corte, Mario Fontana. “Sono due tempi diversi. Quando io prendo visione del foglio delle richieste, soltanto quando la riceve da questo signore. Quando prendo il papello, prendo la busta da Caflish e glielo porto, ero semplice postino, non potevo aprire buste” risponde Ciancimino.
10.10 La difesa trova una difformità fra un interrogatorio alla procura di Caltanissetta e la deposizione al processo. Riguarda la cessione del papello nelle sue mani. “Io vedo per la prima volta questo foglio (il papello, ndr), confermo di averlo visto quando Franco lo dà a mio padre vicino casa nostra, a Montepellegrino, quella è la prima volta che prendo visione del foglio dove sono annotate le richieste. Io ho ritirato il foglio in una busta chiusa. Lì c’era il papello, me l’ha detto mio padre dopo, ho preso una busta chiusa di cui non sapevo il contenuto”.
09.50 Inizio polemico del contro interrogatorio, con l’avvocato Milio che chiede che Ciancimino guardi unicamente la corte, in modo da non ricevere “suggerimenti”. Risponde duro il pm Di Matteo, il giudice taglia corto e invita la difesa a procedere al contro-esame. La polemica continua anche alle prime domande. La difesa, infatti, chiede “conferma” delle precedenti dichiarazioni. “Questo modo di porre la domanda sconfina la suggestività”.
09.40 L’avvocato della difesa, Pietro Milio, ha depositato la sentenza di condanna di Vito Ciancimino risalente al 1990 e alcuni verbali di perquisizioni dell’abitazione. Il pm si associa alla richiesta. Massimo Ciancimino enta in aula e siede sul banco dei testimoni.
Ciancimino torna a deporre
Riprende stamattina, con il controesame di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, il processo al generale dei carabinieri Mario Mori e al colonnello dell’Arma Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento aggravato alla mafia. Il testimone ha già deposto per due udienze davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo, rispondendo alle domande dei pm Nino di Matteo e Antonio Ingroia. Oggi sarà la volta dei legali del generale che ha già annunciato che rendere dichiarazioni spontanee.
Al centro del processo c’è il mancato arresto del boss Bernardo Provenzano che, secondo gli inquirenti, si sarebbe potuto catturare già nell’ottobre del 1995, quando i carabinieri, grazie all’input di un confidente, si trovarono a due passi dal luogo scelto dal capomafia per un summit.
Per i magistrati la decisione di non intervenire allora, sarebbe rientrata nei patti stretti tra i militari dell’Arma e Provenzano nel corso della lunga trattativa intercorsa tra Stato e mafia a partire dal periodo delle stragi del ’92. Massimo Ciancimino, nelle scorse udienze, ha raccontato che i carabinieri avrebbero assicurato l’impunità a Provenzano in cambio della fine della strategia stragista. Dopo la deposizione, che si terrà nell’aula bunker dell’Ucciardone, Mori dovrebbe rendere dichiarazioni spontanee. Livesicilia seguirà l’evento.
Pubblicato il
02 Marzo 2010, 06:21