MAFIA, CIANCIO: SENTITI FAVA E NANDO DALLA CHIESA - Live Sicilia

Ciancio, Claudio Fava in aula: quel necrologio del padre ‘con riserva’

Esaminato anche Nando Dalla Chiesa, figlio del generale ucciso dalla mafia.
I TESTI DELLA PARTE CIVILE
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CATANIA – Claudio Fava e Nando Dalla Chiesa si sono seduti vicini. Sono stati loro due i protagonisti dell’udienza di questa mattina del processo a carico dell’editore Mario Ciancio, accusato di concorso esterno alla mafia. Ma il primo a salire sul banco dei testimoni è stato Raffaele Lombardo, ex governatore siciliano e reduce di una sentenza di assoluzione in appello, citato dai pm Antonino Fanara e Agata Santonocito. La sua presenza è durata pochi istanti, il tempo di “avvalersi della facoltà di non rispondere” riservata agli imputati di reato commesso. Il processo a suo carico infatti è ancora pendente, non essendoci stata anche la deposizione delle motivazioni della Corte. E quindi resta aperto un possibile (nuovo) ricorso per Cassazione.

Il presidente della Commissione Regionale Antimafia Claudio Fava è stato citato – così come il figlio del generale Dalla Chiesa ucciso nel 1982 dalla mafia a Palermo – dall’avvocato Goffredo D’Antona, legale della famiglia Montana che si è costituita parte civile. La prima parte dell’esame è stata dedicata ad episodi collegati all’omicidio del padre Pippo Fava, assassinato dalla mafia il 5 gennaio del 1984. Un omicidio che ha avuto una verità giudiziaria quasi venti anni dopo: due condanne all’ergastolo in veste di mandanti per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano (figlio di Pippo, ndr).

Il giornalista rispondendo alle domande dell’avvocato D’Antona ricorda un fatto accaduto qualche tempo dopo l’uccisione del padre: “C’era stata la notizia della volontà di collaborare di un detenuto che era in carcere nel nord Italia e avrebbe avuto informazioni anche sul delitto Fava. Quando il pm arrivò per interrogarlo Luciano Grasso aveva in mano un articolo del giornale La Sicilia in cui si annunciava la sua volontà di collaborare. Oltre il nome era pubblicato l’indirizzo di casa. A quel punto Grasso fu piuttosto vago”. Infatti si dovette attendere quasi dieci anni per avere un nuovo collaboratore che parlasse dell’assassinio del direttore de I Siciliani.

Ma anche sul pentito Maurizio Avola è pubblicata un’anticipazione della collaborazione. Nell’articolo che fu pubblicato su La Sicilia e il Giorno si diceva “che Avola fosse pronto a raccontare dei delitti Fava e Dalla Chiesa”. Peccato che quando fu ucciso il prefetto di Palermo il killer non fosse nemmeno entrato in Cosa nostra e questo lo screditava anche sull’attendibilità per i racconti sull’omicidio del giornalista. “Ricordo che quell’articolo provocò una dura reazione della Procura della Repubblica”, racconta Fava rispondendo al pm Fanara.

Il presidente dell’Antimafia racconta anche dell’udienza del processo Orsa Maggiore in cui si doveva svolgere il suo controesame da parte dei difensori. Il cronista de La Sicilia avrebbe suggerito “alle difese domande per mettermi in difficoltà. Ricordo – dice rispondendo a D’Antona – che questa cosa venne notata da diverse persone presenti”. Fava poi condivide un ricordo con il tribunale legato a sua sorella Elena. “Nel 1986, il giorno dell’anniversario dell’omicidio, mia sorella andò negli uffici della pubblicità de La Sicilia per pubblicare un necrologio, ma ci fu detto che lo poteva accettare con riserva per disposizione della direzione, perché nel testo c’era scritto che mio padre era stato ucciso dalla mafia. Una cosa che portò molta amarezza”. La redazione de I Siciliani decise di fare un un comunicato stampa legato a quanto accaduto. Quando la nota che uscì sulle agenzie di stampa la famiglia Fava ricevette “una telefonata di scuse” dal direttore della pubblicità annunciando che avrebbero pubblicato il necrologio con il testo integrale e senza farselo pagare. “Cosa che poi avvenne”, ammette il presidente dell’Antimafia regionale. Che però racconta come la direzione e il cdr del giornale esternarono come quel “comunicato avesse degli intenti intimidatori”. 

L’esame dell’avvocato Carmelo Peluso, difensore di Mario Ciancio, si è aperto mostrando il libro di Pippo Fava “Processo alla Sicilia” del 1967, edito da Etis (‘del gruppo Ciancio’). “Si tratta di una raccolta delle inchieste di mio padre – dice Fava – pubblicate su La Sicilia”. E sa se parla anche di mafia? “Affrontava i temi della mafia come si potevano affrontare nel 1967”, risponde il giornalista. Il penalista inoltre ha citato un articolo pubblicato da La Sicilia il 7 gennaio del 1984, tre giorni dopo il delitto, intitolato ‘I veri mafiosi sono quelli che non uccidono: la testimonianza spirituale di Giuseppe Fava”. L’articolo si basava sulla famosa intervista rilasciata a Enzo Biagi e andata in onda otto giorni prima dell’omicidio. “Era un’intervista a disposizione di tutti, quando fu ucciso fu immediato fare il collegamento”, commenta Claudio Fava.

Il presidente Roberto Passalacqua, prima di concedare il teste, ha voluto fare una domanda.
“Di tutti gli episodi che ci ha elencato ricorda chi era il direttore responsabile de La Sicilia?” “Mario Ciancio”, è stata la risposta.

L’esame di Nando Dalla Chiesa, figlio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a Palermo il 3 settembre 1982 insieme con la moglie Emanuela Setti Carraro e con l’agente di scorta Domenico Russo, ha raccontato rispondendo alle domande dell’avvocato D’Antona di un evento al teatro lirico di Milano (nel 1986) in cui fu invitato – tra gli altri – il padre di Beppe Montana che durante un’intervista pubblica di Giampaolo Pansa raccontò del rifiuto dell’ufficio pubblicità La Sicilia di pubblicare il necrologio in quanto conteneva la parola mafia. Con il pm Antonino Fanara il professore Dalla Chiesa ha parlato del diario di suo padre consegnato al giudice Giovanni Falcone. Il magistrato ha inoltre citato la famosa intervista rilasciata a Giorgio Bocca – poco prima di essere assassinato –  in cui parlava per la prima volta degli interessi economici di alcuni imprenditori catanesi a Palermo grazie ai collegamenti con Cosa nostra palermitana. Nando Dalla Chiesa ha confermato – anche se non ricorda se glielo ha raccontato direttamente suo padre o sua sorella – che il Generale durante un viaggio, ritornando a Palermo, era passato da un “suo amico catanese”.

“Potrebbe essere quella la fonte da cui ha avuto informazioni sulla situazione del territorio etneo”, dice. Il Tribunale, poi, si è ritirato in camera di consiglio per decidere sulla richiesta dei pm di sentire il collaboratore di giustizia Giuseppe Raffa che pur essendo nel programma da diversi anni, ultimamente ha fatto dichiarazioni sul falso attentato alla villa di Ciancio, diventando così un riscontro a quanto rivelato da Francesco Squillaci. Il collegio ha dato il consenso all’audizione. Il collaboratore sarà ascoltato il prossimo 28 aprile, data in cui è stato convocato anche il giornalista di Report Sigfrido Ranucci, come teste di parte civile. 


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