11 Luglio 2017, 09:30
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CATANIA – L’udienza prosegue a porte chiuse, l’avvocato di Mario Ciancio ha chiesto la segretazione degli atti, nel mirino dell’accusa, sostenuta dal Pm Antonino Fanara, che da 8 anni indaga sul potente editore e imprenditore catanese, ci sono 17,5milioni di euro e una parte del suo patrimonio, sparso in Italia.
I magistrati basano la richiesta di sequestro sulla presunta pericolosità sociale dell’editore imputato di concorso esterno e ipotizzano la provenienza illecita dei beni, circostanza negata dalla difesa che, attraverso Carmelo Peluso e Giulia Bongiorno sta rimettendo in fila ogni particolare.
GLI ELEMENTI – In sede di misure di prevenzione, la Procura basa la pericolosità sociale sui soci che Ciancio ha avuto in passato in diverse operazioni, sulle intercettazioni di mafiosi e i verbali di numerosi pentiti che accusano l’editore, sul recupero della refurtiva a lui rubata dai Santapaola, sul rapporto col defunto boss Pippo Ercolano, la mancata pubblicazione del necrologio di Beppe Montana, tutti elementi che, messi in fila, al di là della rilevanza penale che sarà valutata in un apposito processo, soddisferebbero, sempre secondo l’accusa, il requisito della pericolosità sociale.
Altro elemento è la ricostruzione del patrimonio dell’editore, che ha sostenuto provenisse in parte da una cospicua eredità: la Procura ha rilevato ombre su alcune transazioni e sulla provenienza di diversi milioni di euro.
Due, quindi, sono i pilastri che la Procura ha verificando: il primo è la provenienza dei fondi, che secondo quanto ha scritto la magistratura sarebbero “mafiosi”, tanto da parlare di “sequestro antimafia”. Ed è proprio tra le carte, segretissime, del Ros, che si dovrebbe trovare la conferma di queste ipotesi. Si tratta di elementi che rafforzerebbero lo stesso concorso esterno. Il secondo aspetto è quello fiscale, cioè la presunta evasione. Pare che Ciancio abbia inizialmente negato, in sede di interrogatorio, di possedere soldi all’estero.
Solo dopo l’interrogatorio avrebbe proceduto con la denuncia dei fondi. L’editore non avrebbe dichiarato al fisco gli utili annuali del gruzzoletto milionario tenuto in diversi paradisi fiscali.
Ma l’editore sostiene l’esatto contrario: avrebbe sempre dichiarato al fisco i fondi che sarebbero di provenienza lecita.
L’ODORE DEI SOLDI – La Procura di Catania ha esercitato l’azione penale nei confronti di Ciancio Sanfilippo Mario per avere lo stesso, “da numerosi anni, – secondo la magistratura – apportato un contributo causale a cosa nostra catanese”.
In tale contesto “la Procura di Catania, oltre a raccogliere e riscontrare le dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed a ricostruire complessi affari promossi dal Ciancio nei quali – secondo la magistratura – avrebbe avuto interesse la mafia, ha così delegato indagini patrimoniali che si sono spinte a ricercare anche dei fondi detenuti illegittimamente all’estero dal Ciancio. Si sono, così, individuati, tra gli altri, depositi bancari in Svizzera, alcuni dei quali schermati tramite delle fiduciarie di paesi appartenenti ai cosiddetti paradisi fiscali; gli accertamenti sono stati agevolati dalla cooperazione prestata, tramite rogatoria e in adesione ai trattati internazionali, della Procura Svizzera di Lugano, la quale ha acquisito dagli istituti bancari documentazione bancaria rilevante”.
I CAVALIERI – Ci sarebbe un filo, almeno temporale, con l’epopea dei Cavalieri di Catania, proprio su quel periodo si sono concentrate parte delle indagini. La polizia tributaria di Catania ha acquisito le movimentazioni bancarie e altre informazioni grazie alle quali il consulente del Pubblico Ministero, la società multinazionale Price Water House Coopers S.p.A. (PWC), specializzata in revisioni in bilancio, ha ricostruito ricostruendo il patrimonio del Ciancio negli anni. La richiesta di sequestro urgente era stata presentata dalla Procura Distrettuale della Repubblica “nel momento in cui è venuta a conoscenza del fatto che Mario Ciancio Sanfilippo aveva dato l’ordine di monetizzare i propri titoli detenuti in Svizzera e di trasferire il ricavato in istituti di credito italiani”.
Negli atti della Procura “sono stati ricostruiti numerosi affari del Ciancio che – si legge nelle carte – risultano infiltrati da Cosa nostra catanese sin dall’epoca in cui l’economia catanese era sostanzialmente imperniata sulle attività delle imprese dei cosiddetti cavalieri del lavoro, tra i quali Graci e Costanzo”.
Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di una sperequazione non giustificata tra le somme di denaro detenute in Svizzera ed i redditi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi in un arco temporale assai ampio.
I MOVIMENTI DI DENARO- Agli atti del procedimento a carico di Mario Ciancio ci sono le indagini fiscali della Guardia di Finanza, indagini complesse. Per la Procura etnea sarebbero riconducibili a Ciancio due fondi milionari a Madeira, in Portogallo e uno in Lussemburgo del valore di 5,5milioni di euro. Ciancio risulta aver versato nei fondi la somma di 3.102.676 euro, di cui 2.385.470 euro sarebbero stati versati direttamente da Ciancio e 717.206 euro invece da Mario De Benedetti “in nome e per conto del Ciancio”. Questi fondi avrebbero un utile stimato di 1.385.324 euro.
Le indagini hanno documentato la visita dell’economista Raffaella Quarato negli uffici di Ciancio. In quell’occasione, la Quarato avrebbe richiesto all’editore catanese di effettuare ulteriori investimenti nei fondi proponendo un’operazione strutturata e complessa che prevedeva il controllo dell’investimento tramite una società italiana e una società olandese. Il progetto prevedeva che Ciancio, tramite una società italiana, avrebbe comprato una società denominata Alexandra del Lussemburgo. Quest’ultima, avrebbe poi emesso delle obbligazioni che sarebbero state comprate dalla fiduciaria Plurifid Spa di Torino, poi incorporata da Solofid Spa, controllata di Ubi Banca. Al centro di questo rimbalzo societario, la Plurifid avrebbe avuto il ruolo di controllare i fondi del Portogallo. Ma non è finita. Per fare girare il denaro estero su estero, secondo gli investigatori, grazie al ruolo della Plurifid, Aleksandra avrebbe avuto la liquidità necessaria per effettuare un prestito alla Golden Summit che Ciancio possiede alle isole Mauritius, che a sua volta avrebbe corrisposto la somma ai fondi lussemburghesi.
Secondo le ipotesi della guardia di finanza, però, “l’operazione non era volta ad effettuare un nuovo investimento, ma al contrario, a fare rientrare in Italia i fondi che erano stati allocati all’estero, ossia nella Golden Summit di Ciancio alle Isole Mauritius”. La Golden Summit avrebbe dovuto cedere le sue quote e soprattutto i diritti di investimento sui tre fondi milionari alla società olandese Aleksandra. Quest’ultima, con tutto il corredo milionario, sarebbe stata acquistata da una società italiana di Ciancio per soli 7.500 euro. L’operazione sarebbe stata collegata ad un prestito che Aleksandra avrebbe ricevuto dalla fiduciaria Plurifid e bilanciata dall’emissione di bond da parte della stessa Aleksandra.
IL TESORO – La magistratura ha individuato, grazie agli accertamenti condotti in collegamento con le Autorità svizzere, che hanno consentito, “di acquisire la certezza – scrive la Procura – dell’esistenza di diversi conti bancari. In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni sono risultate depositate ingenti somme di denaro (52.695.031), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali; la successiva indicazione da parte dell’indagato della provenienza delle somme, non documentata, ha trovato smentita negli accertamenti condotti”.
La battaglia giudiziaria prosegue a porte chiuse, l’editore ha approntato, attraverso i suoi legali un dossier per ricostruire ogni movimento di denaro, prossima udienza a ottobre.
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11 Luglio 2017, 09:30