11 Marzo 2016, 20:54
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CATANIA- La Procura di Catania ricorre in Cassazione contro il proscioglimento di Mario Ciancio. I pubblici ministeri Antonino Fanara e Agata Santonocito contestano punto per punto la sentenza emessa dal giudice Bernabò Distefano che ha prosciolto il noto editore catanese dall’accusa di concorso esterno sostenendo, sostanzialmente, l’inesistenza del reato.
Secondo i pubblici ministeri “la sentenza applica erroneamente la legge penale allorchè ritiene astrattamente non configurabile il concorso esterno nel reato di associazione mafiosa e non individua gli esatti confini delle fattispecie di concorso esterno e di concorso interno nell’associazione mafiosa”. “Manca la motivazione -scrivono ancora i pubblici ministeri- della sentenza nella valutazione di alcuni elementi probatori essenziali e la stessa è, per altri versi, illogica”.
E ancora, “la sentenza viola i limiti cognitivi propri della fase processuale laddove, come si è evidenziato, si spinge oltre i limiti della prognosi circa la non utilità del dibattimento nella direttrice della innocenza/colpevolezza dell’ imputato”.
I pubblici ministeri contestano la ricostruzione giuridica del giudice Bernabò, sostenendo che “il Giudice si è posto in via pregiudiziale il quesito se “sia previsto nell ‘ordinamento giuridico italiano il cosiddello concorso esterno in associazione mafiosa” ed ha ritenuto che a tale quesito si debba “dare risposta negativa”. Lo stesso Giudice, quindi, ha ritenuto che “di conseguenza va dichiarato non doversi procedere nei confronti di Ciancio Sanfilippo Mario in ordine ali ‘imputazione allo stesso ascritta perché ilfatto non è previsto dalla legge come reato
In primo luogo non può condividersi perché non rilevante e, comunque, senz’altro smentita dalle argomentazioni giuridiche, l’opinione secondo il quale l’orientamento giurisprudenziale favorevole al concorso esterno in associazione mafiosa, che costituisce ormai “diritto vivente”, si fonderebbe non su valutazioni giuridiche, ma solo su delle inconfessate ragioni sociologiche e sulla esigenza politica di combattere più efficacemente la mafia”.
Secondo i pubblici ministeri, la ricostruzione della Bernabò contiene una “offensiva illazione, in quanto solo tale termine può utilizzarsi, dovrebbe fondarsi sulla conoscenza delle presunte intime finalità del comportamento di tutti o della maggior parte dei Giudici e non ha, naturalmente, nessun fondamento probatorio, neanche da un punto di vista logico-deduttivo.
Sul piano giuridico, dopo aver sommariamente esposto gli orientamenti giurisprudenziali sulla fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, il Decidente, con grande enfasi, introduce due “importanti interventi” che, nell’anno 2015, avrebbero dimostrato l’impossibilità di configurare il concorso esterno in associazione mafiosa.
In realtà i “due importanti interventi” dimostrano esattamente il contrario.
Nel caso oggetto del processo, all’imputato è contestato di avere contribuito coscientemente al raggiungi mento dei fini e al rafforzamento dell’ associazione mafiosa con le condotte specificate nel capo di imputazione e, in sostanza, avvalendosi anche dei suoi rapporti con alcuni autorevoli esponenti politici e con figure apicali della pubblica amministrazione, per fare conseguire a se stesso e a11’associazione mafiosa indebiti vantaggi, ponendosi come agevolatore di affari di rilevante valore in cui è interessata Cosa Nostra.
Orbene, tali condotte sono state sempre ritenute dalla giurisprudenza di legittimità e di merito come pacificamente sussumibili nella fattispecie contestata all’imputato sin dalle prime pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione. E’ infatti errato sostenere (cfr. pago 114) che la sentenza Demitry del 1994 avrebbe circoscritto la configurabilità del concorso esterno ai casi di apporto limitato del concorrente in circostanze particolari della vita dell’associazione, ossia in caso di stato di fibrillazione. Tale conclusione non è solo semplicistica, ma anche inidonea a cogliere il nucleo centrale dell’evoluzione giurisprudenziale”.
E ancora, il giudice Bernabò Distefano sarebbe incorso in “un ulteriore errore in cui è incorso il Giudice neII’applicare la norma sul concorso esterno è consistito nel sostenere che il Pubblico Ministero avrebbe errato nel contestare all’imputato “solo un capo di imputazione”, quello del concorso esterno, e non anche dei reati fine, poiché “Falcone contestava il concorso esterno unitamente ai reati fine”, contribuendo tale omissione a creare “un’ulteriore problema di individuazione delle singole condotte criminose”. Orbene, a questo Pubblico Ministero non è noto se il dottor Falcone abbia sempre contestato, oltre al concorso esterno, anche dei reati fine; è però noto che il reato di associazione mafiosa, così come il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, è un reato di pericolo e che il Legislatore ha anticipato la soglia di punibilità proprio per prevenire la lesione dell’ordine pubblico.
Per tale ragione la partecipazione ad un’associazione a delinquere, ad una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, ad un’associazione mafiosa così come il concorso esterno alle stesse – prescinde totalmente dalla commissione da parte dell’imputato dei reati-fine”.
“E’ stato citato anche l’ex Presidente della Regione -ricostruiscono i pubblici ministeri- Lombardo Raffaele, per la data del 04.09.2013 per essere sentito a verbale in ordine ai suoi rapporti con Ciancio e in ordine al suo intervento per l’iter amministrativo che ha condotto alle autorizzazioni per il centro commerciale Porte di Catania e per la costruzione di un villaggio destinato ai militari americani (Xirumi); Lombardo, però, si è avvalso della facoltà di non rispondere (dichiarazione del 07.09.2013), quale imputato di reato connesso.
Questo Pubblico Ministero ha, comunque, acquisito il verbale delle dichiarazioni che lo stesso Lombardo ha reso in una delle udienze del processo a suo carico, verbale contenente alcune rilevanti affermazioni su Ciancio e in ordine all’iter amministrativo per la costruzione del centro commerciale del Pigno (o Porte di Catania).
Non è vero, come scrive il Giudice, che è stato sentito solo un consigliere comunale, ossia Maravigna, tra quelli che parteciparono alla modifica del PRG, presupposto per il rilascio del permesso a costruire del centro commerciale Porte di Catania. Oltre al tentativo di sentire Scapagnini, all’epoca Sindaco e Presidente della Giunta Comunale, sono state fatte indagini bancarie approfondite su Benito Paolone, all’epoca consigliere comunale, non potendolo sentire in quanto deceduto, e sono emersi dei collegamenti con l’imputato Ciancio anche di natura finanziaria; sono stati, poi, sentiti il consigliere D’Agata Rosario, in due occasioni, nonché l’onorevole Viola, deputato regionale ma anche socio di Ciancio.
Il Giudice, a partire da pago 129, ha mosso serrate critiche alle valutazioni espresse dal GUP nella sentenza di condanna per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa emessa, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti dell’ex Presidente della Regione Sicilia, Lombardo Raffaele; ha poi sostenuto che, comunque, gli elementi posti a carico del Lombardo non avevano alcun rilievo a carico del Ciancio perché “la sentenza in questione ha riguardato Lombardo Raffaele che è un politico, già ex Presidente della Regione Sicilia, invece, l’imputato del presente procedimento non è un uomo politico “. Ma il Giudice, piuttosto che occuparsi degli eventuali errori motivazionali compiuti dal GUP della sentenza Lombardo, avrebbe dovuto confrontarsi con la rilevanza probatoria degli elementi scaturenti dagli atti acquisiti nell’ambito di quel processo e prodotti nel presente giudizio; ciò egli non ha fatto e, in tal modo, ha omesso di motivare su elementi probatori certamente significativi . In particolare, era emerso da tali atti il coinvolgimento del Ciancio in lucrosi affari (Centro commerciale Porte di Catania, progetto villaggio degli americani Xirumi) nei quali era stata coinvolta da parte dello stesso Ciancio l’ associazione mafiosa Cosa Nostra in uno al politico Lombardo Raffaele . L’iniziativa di interessare in tali affari anche esponenti di Cosa Nostra appare certamente significativa della consapevole volontà del Ciancio di favorire, oltre che se stesso, anche il predetto sodalizio”.
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