Ciapi, province, elezioni: tre guai| Babilonia Crocetta, tutto in 24 ore

di

14 Ottobre 2017, 19:06

4 min di lettura

PALERMO – Tre schiaffi in 24 ore. Dal Tar, da Palazzo Chigi, dalla Corte dei conti. È “Babilonia Crocetta”. Un caos totale, al tramonto di una legislatura già assai confusa. Tre notizie arrivare nell’arco di una sola giornata, quasi a fare da simbolica sintesi di una intera esperienza di governo. Un venerdì 13 nero, nerissimo, quello di ieri, per il governatore che tra poco lascerà Palazzo d’Orleans.

L’invito a dedurre della Corte dei conti per la vicenda dei fondi destinati agli ex lavoratori degli sportelli multifunzionali, si aggiunge ad altre vicende che hanno costellato questa parentesi. Le assunzioni a Sicilia e-servizi, ma anche i dubbi sul bilancio sollevati dalla Procura generale d’Appello, passando per l’inchiesta sui rifiuti i cui sviluppi rischiano di essere esplosivi: sono tutti opera dei magistrati della Corte dei conti. L’ultima inchiesta, quella che riguarda il progetto “Spartacus” al Ciapi è un po’ lo specchio di questa confusione. Di quella incapacità amministrativa di risolvere alcune questioni (quella di cui si parla, piaccia o non piaccia, coinvolge circa 1.800 lavoratori) e degli inciampi delle giunte guidate dal governatore. Assessori e burocrati “indagati” dalla Corte dei conti insieme a lui, al governatore della legalità che ha inciampato in più di un’occasione contro questi guai contabili.

Ma se la vicenda-Ciapi mette a nudo le “debolezze” amministrative di Crocetta e dei suoi governi, la storia delle ex Province ne fa emergere altre: quelle relative all’effettiva capacità del governatore della rivoluzione di riformare davvero la Sicilia. A dirla tutta, l’impugnativa di Palazzo Chigi all’ultima legge di riforma delle Province (riforma si fa per dire, visto che prevede di fatto il ritorno all’antico) ha come primi responsabili altri soggetti: i deputati che l’hanno voluta, presentata, votata a Sala d’Ercole. Ma l’ultima impugnativa è appunto solo la puntata più recente di una telenovela iniziata non a caso in televisione. Quando il governatore annunciò a tutto il Paese che la Sicilia stava, prima in Italia, “chiudendo” quegli enti spreconi e inutili. Da lì, però, non si è fatto nessun passo avanti, se si escludono i commissariamenti infiniti, e semmai se ne sono fatti molti indietro. Fotografati anche da atti ufficiali come quelli della sezione di controllo della Corte dei conti che ha puntato il dito contro i danni a scuole e strada, oltre che alla inefficienza di alcuni servizi, come quelli dedicati ai disabili. Un disastro, insomma. Da cui ancora non si è usciti, tra l’altro. E che ha, tra ritardi ed errori, aperto le maglie agli interventi di chi vuole “restaurare” l’ente così com’era originariamente. Con l’ultima impugnativa il caos è completo: la legge è impugnata, quindi a forte rischio incostituzionalità, ma vigente; l’Ars non può intervenire per modificarla perché ha chiuso i battenti: il nuovo governo e il nuovo parlamento arriveranno a insediarsi nei giorni vicini alle elezioni fissate dalla stessa legge impugnata. Una Babele.

Insomma, in poche ore sul governatore sono piovute un “avviso di garanzia” della Corte dei conti e una sonora bocciatura della presidenza del Consiglio dei ministri. Ma la giornata nera del governatore non era finita lì. Perché nel frattempo è arrivata dal Tar di Palermo la pronuncia sul ricorso di Crocetta contro l’esclusione della “Lista Micari” a Messina. Altra vicenda-simbolo, altra metafora del caos. Perché la trama che porta a quel finale è una montagna russa di dichiarazioni. Dal governatore che si diceva “certo di essere candidato”, al presidente che faceva “un passo indietro, per lealtà nei confronti del partito”, dal Crocetta che chiedeva un “riconoscimento politico per il Megafono” a quello che diceva di sì alla richiesta di non presentare la lista del Megafono e di far confluire i suoi candidati nella Lista Micari “per evitare una figuraccia al candidato, come mi ha chiesto Renzi”. E così, l’epilogo non poteva che essere degno di questo caos: i documenti che in parte arrivano e in parte restano in macchina, gli orari che ballano sui verbali, il delegato che bussa a una porta chiusa e che poi, a suggello di un’era puntellata di nomine a fedelissimi, entra nell’ufficio di gabinetto del presidente a un mese esatto dal voto. Dentro quel Palazzo d’Orleans che presto Crocetta dovrà lasciare per sempre. Segnando forse con un cerchio rosso quel venerdì 13, quelle 24 ore che furono il compendio della sua esperienza di governo. Una Babilonia Crocetta.

Pubblicato il

14 Ottobre 2017, 19:06

Condividi sui social