Ciccio Vecchio, le voci di due pentiti |Un delitto senza verità processuale

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11 Maggio 2015, 18:39

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Francesco Vecchio

ACIREALE – Francesco Vecchio, il cui nome da oggi campeggia nell’area ex Com di Acireale, è una vittima della mafia: una morte ancora senza giustizia. Un’indagine archiviata e mai riaperta nonostante le pressioni della famiglia di Ciccio, ammazzato a solo 52 anni nel 1990. Era il direttore del personale delle Acciaierie Megara e fu ucciso insieme all’amministratore delegato Alessandro Rovetta. Erano le 18,30 alla zona industriale di Catania: il suo cadavere fu trovato poco lontano dall’uscita dell’azienda, era a bordo della sua auto, tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Che sia ucciso dalla criminalità organizzata non ci sono dubbi: però non c’è un processo, nè tanto meno una sentenza. E forse non è mai stato scritto nessuno nel registro degli ingadati, nè come mandante nè come sicario.

In queste settimane il nome delle Acciaierie Megara al Palazzo di Giustizia di Catania si sente spesso. E soprattutto nel processo sull’omicidio di Luigi Ilardo che vengono ripresi “quei pizzini di Bernardo Provenzano” dove si discute delle estorsioni al colosso siderurgico catanese. “Nei bigliettini si accenna ad una discussione inerente la messa a posto riguardante le Acciaierie Megara” – racconta il capitano Damiano, ex comandante dei Ros di Caltanissetta, durante il processo. E non solo, su quelle estorsioni mai arrivate alla cupola palermitana furono diffuse voci insistenti  – come racconta il pentito Santo La Causa – che fossero state intascate da Gino Ilardo, vertice provinciale dei Madonia a Catania. Un modo per “forzare” il suo omicidio, rimasto per un ventennio tra i delitti irrisolti della storia della mafia catanese.

Un giallo quello di Gino Ilardo che per anni è stato accomunato alle Acciaierie Megara negli ambienti criminali. E già questo dimostra come la mafia avesse un interesse verso quell’azienda dove lavoravano Francesco Vecchio e Rovetta. Un’azienda che negli anni Ottanta avevano ricevuto dalla Regione un finanziamento di circa 60 miliardi del vecchio conio, insomma poco meno di 30 milioni di euro, per ampliare e ammodernare gli impianti. Un tesoretto che avrebbe fatto troppa gola ai clan. Ma le inchieste si sono arenate, tutte.

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Qualche mese fa, dalle pagine di Meridionews e I Siciliani, il figlio di Ciccio Vecchio Salvatore ha lanciato un ulteriore appello alla giustizia per poter avere una verità processuale sul delitto di suo padre. E’ lui stesso ad aver scovato un verbale del pentito Maurizio Avola che nel 1994 aveva raccontato dettagli del duplice omicidio Vecchio- Rovetta ai magistrati. Per il collaboratore l’agguato era stato ordinato dalle file dei Santapaola Ercolano. Una voce solitaria che non basta per sostenere un’istruttoria dibattimentale.

Ma tra i faldoni della procura c’è la trascrizione di un altro verbale che parla dell’omicidio di Francesco Vecchio e le indicazioni sui mandanti e i sicari portano da tutt’altra parte nella mappa della criminalità organizzata catanese. E’ nel gruppo di Orazio Privitera, capomafia dei Cappello, che secondo Giuseppe Ferone andrebbe cercato l’assassino del direttore delle Acciaierie Megara. La questione sarebbe stata legata ad un diverbio relativo allo smaltimento dei rottami di ferro. Una pista in realtà mai battuta anche perchè Giuseppe Ferone non è mai stato ritenuto un collaborante attendibile, anche perchè quando entrò nel programma con la magistratura, non smise di delinquere. Anzi non smise di uccidere. Ferone, altri non è che colui che avrebbe ucciso Concetta Minniti, la moglie di Nitto Santapaola.

Solo accuse, deboli, e forse anche false visto da chi provengono. Troppo poco anche per far reggere la riapertura di un caso che sembra destinato a rimanere senza colpevoli. Una pagina amara della giustizia catanese.

 

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11 Maggio 2015, 18:39

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