16 Febbraio 2022, 07:10
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Una malefica coincidenza. Francesco Lombardo, soldato della cellula dei Mazzei di Adrano, non avrebbe mai potuto pensare che la macchina presa in prestito nella primavera del 2018 a Messina aveva una cimice. E che quella microspia avrebbe fatto scattare l’inchiesta che ieri ha colpito la terza famiglia mafiosa di Adrano. Tutto è partito proprio da un’annotazione della Squadra Mobile di Messina in merito a quanto emergeva dall’ascolto di quelle intercettazioni. Un tassello che poi si è incastrato (in modo aderente) con le dichiarazioni di Nicola Amoroso e Valerio Rosano.
I due pentiti raccontano ai magistrati della Dda di Catania e ai polizitti della Squadra investigativa del Commissariato che nella cittadina del famigerato triangolo della morte era stato creato un gruppo legato ai Mazzei. Un clan che stava cercando di farsi spazio a spallate tra gli Scalisi e i Santangelo. Le antenne si alzano. I collaboratori puntano immediatamente l’indice contro Cristian Lo Cicero.
Amoroso, ex esponente del clan Scalisi di Adrano, nel 2018 racconta come è nato il gruppo legato ai Mazzei: “Circa nel 2015 ricordo che Cristian Lo Cicero, figlio di uno storico appartenete al clan Santangelo che venne ucciso anni fa, tornò ad Adrano dalla Germania”. Il pentito spiega che dopo il suo rientro in Sicilia “formò via via un suo gruppo che si appoggiava e faceva parte del clan Mazzei”. Amoroso inoltre precisa che “Lo Cicero aveva rancore nei confronti del Santangelo perché riteneva che la morte del padre non fosse stata vendicata”.
Ma a quanto pare anche i Santapaoliani di Adrano non vedevano di buon occhio la scalata criminale di Lo Cicero nell’ambito degli stupefacenti. Il giovane boss Valerio Rosano – diventato famoso a livello nazionale per i necrologi a suo nome sparsi per tutta Adrano – avrebbe saputo che “Tonino Bulla e il cugino Nicola Rosano avevano tentato di ucciderlo” nel corso di un agguato nella strada per Catania. Ma l’omicidio sarebbe fallito perché si sarebbe “inceppata la pistola”.
Vincenzo Pellegriti, del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello di Biancavilla, rivela ai magistrati che “Lo Cicero si vantava di fare parte del clan dei carcagnusi”. Ma la nuova leva della mafia adranita non avrebbe certo potuto usare il nome dei Mazzei senza ritorsioni. Avrebbe avuto, infatti, un suo punto di riferimento (mafioso). Proprio a Catania. “Il suo patrozzo (padrino, ndr) a Catania nel clan dei carcagnusi era proprio Santo detto ‘u panettieri’ (Di Benedetto, ndr)”, spiega ancora Pellegriti. Addirittura il pentito Giovanni La Rosa racconta che in carcere gli avrebbero raccontato che Cristian Lo Cicero chiamava “papà” il boss dei Mazzei.
Anche Salvatore Giarrizzo, il pentito che Lo Cicero ha cercato di ammazzare nell’estate del 2019 e che l’anno scorso è stato bersaglio di alcuni atti intimidatori per la sua decisione di collaborare da parte degli Scalisi, conferma il legame tra l’adranita e “Santo detto ‘u panitteri’ che ha un figlio di nome Angelo”.
Ma il riscontro (plastico) alla polizia del saldo legame tra Lo Cicero e Santo Di Benedetto – noto personaggio di spicco dei Carcagnusi – arriva da una intercettazione del 2018 nell’auto prestata dai messinesi. La microspia che ha messo nei guai la ‘terza famiglia’ mafiosa di Adrano registra una frase per gli investigatori inequivocabile. Francesco Lombardo parlando con Graziano Pellegriti e Concetto (non identificato) di ‘appartenenze a famiglie mafiose’ dice: “Cristian è ccu Panitteri!”.
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16 Febbraio 2022, 07:10