28 Gennaio 2013, 16:34
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PALERMO – Boss e sodali della mafia di Porta Nuova, a Palermo, e Bagheria alla sbarra. Sono gli arrestati dell’operazione “Pedro” del dicembre 2011 che ha decapitato il mandamento mafioso di Porta Nuova, portando all’arresto anche i vertici della famiglia di Bagheria. I pm Caterina Malagoli e Maurizio Agnello hanno formulato le richieste di pena per gli imputati che hanno scelto di essere processati con il rito abbreviato.
La pena più alta, 20 anni, è stata chiesta per Tommaso Di Giovanni. Formalmente era il titolare di una macelleria nel cuore della Zisa, in via Silvio Pellico, dalle indagini è emerso essere il capo carismatico della famiglia mafiosa di Porta nuova e anche di tutto il mandamento, che ricomprende anche le articolazioni di Palermo Centro e Borgo Vecchio. Sedici anni sono stati chiesti, invece, per Calogero Lo Presti, reggente della cosca prima di passare la mano a Di Giovanni. Noto agli affiliati come “zio Piero” (da cui il nome dell’operazione), aveva lasciato il comando dopo aver scoperto alcune cimici nel luogo dedicato ai summit: una stalla in via Antonio Della Rovere, in zona Colonna rotta.
Quindici anni, poi, per Antonio Zarcone. Per gli inquirenti sarebbe il reggente della famiglia mafiosa di Bagheria. L’uomo è stato intercettato mentre dava delle “lezioni di mafia” ai più giovani rampolli della famiglia di Porta Nuova. A loro ha indicato come si operava per chiedere il pizzo alle aziende edili facendo riferimento anche a una presunta talpa negli uffici comunali che gli dava le soffiate a proposito dei cantieri appena avviati.
Quattordici anni sono stati chiesti per Gaspare Parisi, presunto capomafia del Borgo, e fidanzato di quella Monica Vitale che ha deciso di collaborare con la giustizia e le cui dichiarazioni sono state utilizzate proprio per incastrare gli indagati dell’operazione “Pedro”.
Dieci anni e otto mesi per Gabriele Buccheri, considerato il braccio destro di Antonino Abbate nella gestione degli affari del Borgo Vecchio; Francesco Paolo Putano, operativo nel gruppo che si occupava della zona di Ballarò; Giovanni Mannino, detto Giancarlo, e Fabrizio Toscano, secondo le indagini dediti al settore rapine della famiglia mafiosa.
Dieci anni, infine, per Nicolò Milano e Giovanni Toscano. Il primo, che nel giorno dell’operazione ha provato un’improbabile fuga gettandosi nel pozzo luce del palazzo in cui si nascondeva (fratturandosi un piede), nonostante il pedigree – la famiglia Milano regna su Porta Nuova da più di trent’anni – non risulta avere precedenti. Era fra i “quadri” di Porta Nuova e pendeva dalle labbra di Zarcone che incontrava puntualmente nella polleria di via Palmerino di Giuseppe Di Marco. Il secondo, figlio di Fabrizio Toscano, rappresenta la manovalanza del clan che, per fare cassa, non disdegnava di rapinare anziani che avevano appena ritirato la pensione.
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28 Gennaio 2013, 16:34