Parla il trafficante di uomini pentito | Ombre sulla prefettura di Agrigento

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19 Giugno 2015, 17:27

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PALERMO – È il primo pezzo grosso di una banda di trafficanti a vuotare il sacco. Nuredin Atta Wehabreri, 31 anni, ieri speculava sulla disperazione dei clandestini, oggi è un collaboratore di giustizia che vive sotto protezione in una località segreta. Il peso dei “troppi morti” è diventato insopportabile. La sua identità è stata svelata al processo in corso a Palermo che lo vede imputato assieme ad altre persone.

Nuredin ricostruisce le rotte dei traffici di essere umani, descrive il ruolo di decine di protagonisti e getta pesanti ombre sul sistema dei controlli italiani. Alla prefettura di Agrigento, così racconta il pentito, arrivavano decine e decine di certificati falsi, ma nessuno si è mai accorto che fossero tali.

Nuredin è finito in carcere nel luglio 2014. Il blitz è lo stesso a cui sfuggì Ermias Ghermay, nato in Etiopia, ma attivo in Libia. Il Servizio centrale operativo di Roma e le Squadre mobili di Palermo e Agrigento piazzano Ermias al vertice di una delle organizzazione più potenti. Tra gli sbarchi da lui gestiti c’è certamente quello dell’ottobre 2013, quando 366 persone morirono a largo di Lampedusa. Nei suoi confronti i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo – il procuratore aggiunto Maurizio Scalia e i sostituti Calogero Ferrara e Claudio Camilleri – hanno spiccato un mandato di cattura internazionale.

I disperati pagano da poche centinaia a migliaia di euro a secondo della tratta. Perché una volta giunti in Sicilia dal Sudan e dalla Libia i clandestini possono contare sull’organizzazione che offre loro riparo e poi li smista nel Nord Italia o in Germania, Svezia, Norvegia, Canada e Australia. Una barcone può valere fino a un milione di euro. Una volta in Sicilia i migranti vengono stipati in magazzini affollati all’inverosimile. C’è chi procura loro passaporti falsi e chi organizza matrimoni di comodo per giustificare la presenza in territorio italiano.

E qui si innesta il capitolo “siciliano” delle indagini che partono dalle dichiarazioni di Nuredin: “Afwerke Yared (anche lui fu arrestato l’estate scorsa nel blitz Glauco ndr) falsificava i certificati dello stato di famiglia e di residenza di altri stranieri – ha messo a verbale il collaboratore lo scorso maggio – per ogni certificato falsificato guadagnava tra i 500 e i 600 euro. In pratica veniva contattato da stranieri che avevano il permesso di soggiorno ma che risultavano residenti in città diverse da Agrigento”.

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Ed è in terra siciliana che i documenti vengono sistemati: “Lui falsificava i certificati così da farli risultare residenti ad Agrigento e la caratteristica che potrete constatare è che per tutti nei certificati falsi veniva indicato quale luogo di residenza la via Giardinello n. 6 (nel verbale non viene spiegato cosa corrisponde all’indirizzo ndr). Questi certificati falsi consentivano ai titolari di avanzare anche alla Prefettura di Agrigento domanda per il ricongiungimento familiare di altre persone che in questo modo potevano arrivare in Italia”. Il neo collaboratore non ha riferito notizie apprese da altri: “Quello che vi dico mi risulta non soltanto perché Afwerke è un mio amico ma anche perché ho visto numerosi di questi certificati falsi e per molti di essi ho curato personalmente la trasmissione alla Prefettura di Agrigento”.

Nuredin si autoaccusa del ruolo di organizzatore del transito degli immigrati verso i paesi del Nord Europa. Un lavoro piuttosto redditizio che fino al febbraio scorso gli ha fruttato “4000 mila euro al mese”. Non è poco per un perito elettronico, residente ad Agrigento, ma con casa anche a Roma. È lui stesso a raccontare di essere “arrivato in Libia a 13 armi, lì sono cresciuto ed ho imparato l’arabo andando a scuola; sono arrivato in Italia, nel 2006/07 circa e sono sbarcato a Porto Empedocle. In Italia mi è stato riconosciuto l’asilo politico anche se subito dopo sono stato arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Poi, aggiunge di avere “lavorato al Patronato per l’accompagnamento dei clandestini ed il ricongiungimento familiare”. Forse è in questa veste che ha visto i tanti, troppi certificati finiti sul tavolo della Prefettura di Agrigento.

 

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19 Giugno 2015, 17:27

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