Cleo Li Calzi: "Dobbiamo smettere di parlarci addosso"

Cleo Li Calzi (Pd): “Serve discontinuità rispetto ad alcune scelte”

La componente dell'esecutivo nazionale delle Donne democratiche alle prese con la matassa del congresso

PALERMO – “Gli elettori ci chiedono di smettere di parlarci addosso e di a fare politica, serve discontinuità rispetto ad alcune scelte del passato”.

Cleo Li Calzi, componente dell’esecutivo nazionale delle Donne democratiche, docente di management ed esperta dei fondi Pnrr, si confronta con la matassa fatta di tensioni che imbriglia il partito.

Ma intravvede soluzioni e, soprattutto, un metodo. L’intervista.

L’onda lunga dell’assemblea all’Astoria Palace continua ancora…
“All’assemblea c’è stata una grande assente: la politica. C’è un’evidente spaccatura e ciò che è successo non genera consenso, alimenta piuttosto l’astensionismo”.

Ne è scaturito un dibattito interno? Cosa succede nel Pd?
“Il dibattito interno è vivace, e questo è segno di vitalità. Ma non è sui temi politici, come dovrebbe, ma sulle persone. Servono temi veri, progetto e coinvolgimento per attrarre l’elettorato e costruire un partito che possa essere forza di governo. Abbiamo bisogno di dare una risposta urgente agli elettori e non illuderli dibattendo sulle primarie. Solo facendo scelte politiche coerenti e portandole avanti si coinvolge l’elettorato e si costruisce una credibilità”.

Quindi non ritiene necessarie le primarie per il congresso regionale?
“Noi dobbiamo raggiungere le persone e con i conflitti le allontaniamo. Ci dobbiamo prendere le nostre responsabilità di classe dirigente e tornare a essere comunità viva nei territori, non chiusa in eterno conclave”.

Come si realizza il coinvolgimento?
“Non con le primarie, ma con politiche coerenti che vanno portate avanti, scendendo in campo nei luoghi dove non siamo. Rivedendo alcune prassi troppo autoreferenziali, che non consentono la crescita della base. La politica è confronto, quando serve anche scontro, ma bisogna che il conflitto conduca a un obiettivo condiviso. Che il confronto serva a costruire un progetto politico di ampio respiro”.

Cosa non le piace di questo Pd?
“I toni accesi, essere l’uno contro l’altro, anziché confrontarsi sui temi politici. La politica è una pratica viva, il confronto è generativo se porta a soluzioni. Se si cerca ogni mattina un colpevole o una colpa, solo per spostare avanti l’orizzonte delle soluzioni, questo diventa intollerante”.

Cosa chiedono gli elettori?
“Di smettere di parlarci addosso e di iniziare a fare politica. Ci chiedono se siamo capaci, se da comunità di appartenenza abbiamo la capacità di affermarci come comunità politica che mette il bene collettivo al centro di ogni azione”.

Si parla di un possibile ricorso, cosa comporterebbe
“Aspettiamo che venga notificato, leggiamolo, poi valuteremo. Noi dobbiamo avere il coraggio per andare a riannodare la connessione con la comunità democratica e non illuderli che sia tutto nelle regole il processo di coinvolgimento. Dobbiamo avere l’umiltà e la capacità di ascoltare tutti quelli che si sono allontanati perché hanno smesso di credere nella politica. Per questo non fa bene questo continuo parlarsi addosso e ridurre il congresso a una partita sui tatticismi”.

Oltre alle regole c’è il ruolo delle persone. È favorevole a un nuovo mandato di Barbagallo?
“Importante è marcare una discontinuità di operato rispetto ad alcune scelte del passato, ma dobbiamo farlo facendo politica e costruendo piattaforme programmatiche che danno risposte; senza contenuti veri e un’etica condivisa, la partecipazione rischia di diventare vuota. Uno specchio che riflette solo scelte di parte. Il partito non è quello chiuso nelle stanze che decidono: il partito è comunità “.

È possibile l’inversione di tendenza?
“L’iniziativa sulla sanità ha dimostrato come possiamo essere tutti uniti per fare politica. Siamo tutti militanti, senza distinzioni tra partecipanti agli organismi e non. Questo è quello che ci chiede la comunità per trovare entusiasmo. Io ne ho trovato molto nella campagna di tesseramento e ho visto numerose persone prendere per la prima volta la tessera per essere parte attiva nelle scelte del futuro di questo partito”.

E le donne?
“C’è un tema non emerso e sono le donne, che possono essere un ponte necessario tra il dentro e il fuori. Devono avere una centralità nel partito non solo formale (con l’eguaglianza negli organismi) ma sostanziale. In ruoli cruciali. Sono tante le sfide dell’emancipazione, fuori, ma sono tante anche dentro il partito. Lo sguardo di genere serve a rigenerare il Pd da alcune tossicità in cui è caduto e che sono a monte di quanto sta accadendo. Le donne portano alla politica la voce di chi le disuguaglianze e le ferite di un’assenza di coesione sociale le vive e le trasforma in azione collettiva e progettualità. Possono essere i fondamentali mattoni per ridare slancio al partito”.

Per sbloccare lo stallo verso il congresso, però si torna alle regole. Si riuscirà ad andare avanti?
“Si riesce sempre, basta volerlo. Se usciamo dalla fase di scontro e andiamo in quella di costruzione ci riusciremo”.

Nel frattempo, il risultato dell’assemblea Pd è stato “certificato”. Ma c’è l’ombra del ricorso.


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