Coalizioni: le strategie vincenti e i mal di pancia degli sconfitti

Coalizioni: le strategie vincenti|E i mal di pancia degli sconfitti

La foto di gruppo di Vivi Pedara, progetto nato nel cantiere del Pd.
Ecco perché la partita delle amministrative è stata decisa con la presentazione delle liste.
AMMINISTRATIVE 2020
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4 min di lettura

Vero è che la storia non si debba fare mai né con i “se” e né con i “ma”. Il rischio è manipolare i dati e far dire ai numeri quel che si vuole. Sia nella storia propriamente detta, sia nell’analisi di un banalissimo voto amministrativo. La verità? Chi ha vinto ha vinto, chi ha perso invece si lecca le ferite. Per cinque anni, almeno.

La “percezione” della vittoria

A quanto pare, Forza Italia (in provincia) risulta la trionfatrice “percepita” di questa tornata. Un dato che potrebbe risultare valido fino a quando non gli si contrapporranno letture differenti del voto di domenica e lunedì. E di letture ce ne stanno anche altre, appunto perché il peso di coalizioni, partiti e segreterie ha subìto troppe variabili in questa competizione. Come in quelle degli ultimi lustri, del resto.

Il dato spurio è che vincono i sette sindaci eletti. Punto. E lo fanno parcellizzando in chiave squisitamente civica il proprio impegno elettorale. In molti casi chiudendo la competizione nel giorno esatto della presentazione delle liste, a urne ancora chiuse e bocce ferme. Vincendo di tattica, non di muscoli.

Mischiamo le carte

Mischiando i numeri però emerge tanto altro. Un gioco, sì. Ozioso, forse. Che tuttavia può suscitare qualche mal di pancia. Prendiamo il caso di Pedara, dove Alfio Cristaudo, candidato dem di stretta osservanza barbagalliana vince in maniera netta. Nettissima. Ma che sarebbe successo se la rigida divisione centrodestra/centrosinistra fosse stata rispettata? A ben vedere, messi assieme, i voti di Francesco e Mario Laudani superano quota mille.

E chi sono? Rispettivamente il primo e il secondo arrivati in Vivi Pedara, la civica partorita nel cantiere del Pd. Peccato però che sono ritenuti i cavalli di razza di Fratelli d’Italia e Forza Italia a Pedara. Fossero finiti dall’altra parte, ci sarebbe stato un risultato differente e un sindaco diverso. E non è la prima volta che va così. 

L’unità ferita

Per mesi il centrodestra aveva puntato all’unità della coalizione, quasi fosse un’ossessione, per mettere fine ad anni di intese bipartisan che hanno avuto come perno l’attuale segretario regionale del Partito democratico, Anthony Barbagallo. Tant’è che in quel di Pedara si sono scontrati domenica due membri della scuderia barbagalliana (oggi Antonio Fallica è però un ex).

Certo è che la politica non è pura aritmetica. Questo vale a destra, ma anche a sinistra. E se da un lato l’ex Cdl deve fare i conti con l’incapacità di costruire percorsi unitari, anche per motivi che sono più personali che altro; sull’altro versante c’è la consapevolezza che federando anche forze antitetiche e personalità distanti tra loro si va tranquillamente a risultato. 

Prove di campo largo

Il modello Barbagallo è esportabile anche fuori Pedara? Può essere l’attuale segretario regionale Pd a costruire quel campo largo con dentro ex Dc, Claudia Fava e  – perché no – il Movimento cinque stelle, che può mandare a casa Nello Musumeci? Interrogativi aperti che devono fare i conti, appunto, con i pentastellati di Sicilia. Stavolta però i grillini raccolgono zero eletti. Una disfatta, o quasi. Che con il senno di poi potrebbe darci anche qualche altra indicazione. 

Cosa sarebbe successo se a Trecastagni avesse preso il via l’esperimento giallorosso, esportando l’intesa romana su Giuseppe Conte anche ai piedi dell’Etna, così come avrebbe voluto il segretario cittadino dem? Il calcolo alla femminina ci dice che con il 5% di Concetta Ambra (M5s) più il 12% della civica Mauretta Finocchiaro più il 35% della giovane sorpresa Raffaele Trovato (area Sammartino), si sarebbe andati nettamente al di sopra le percentuali di Pippo Messina (Forza Italia).

Se a questi si fossero aggiunti i 140 voti di Concetto Russo, esponente di Demos candidato però con il centrodestra, il risultato sarebbe stato ancora più tondo. Evidentemente è mancato un federatore capace di tenere assieme tutte queste anime. Vero è pure – e torniamo alla realtà – che i risultati di Pippo Messina sono arrivati da una lista sola, non da tre. 

Bronte civica

Che sarebbe successo a Bronte se si fosse trovata l’intesa tra Graziano Calanna (Pd) e il civico Giuseppe Gullotta, esponenti che negli anni si sono trovati assieme in piazza a difesa dell’ospedale cittadino? La somma pura ci dice che Pino Firrarello avrebbe dovuto sudare assai di più prima di diventare per l’ennesima volta sindaco.

I conti che tornano

Anche a  San Giovanni la Punta la matematica non è un’opinione. Superando il 55%, Nino Bellia avrebbe vinto comunque e contro chiunque. Che sarebbe successo però se il centrodestra non si fosse spacchettato su tre fronti dando il via a una girandola di polemiche e colpi di scena? Il blocco che ha sostenuto Santo Trovato, più il blocco di Lorenzo Seminerio con l’aggiunta delle liste San Giovanni la Punta Protagonista (di fatto Forza Italia, o meglio Marco Falcone) e San Giovanni la Punta Più (ovvero Alessandro Porto, Udc) avrebbe determinato altri numeri ed equilibri.

Bellia e Messina

In più c’è da aggiungere che dentro la coalizione di Bellia anche altre anime sarebbero riconducibili a diverso titolo al centrodestra catanese. Ma il punto è sempre lì: il sindaco uscente (coadiuvato dal fondamentale Andrea Messina, già primo cittadino) ha saputo essere assai più rassicurante rispetto ai suoi rivali. E anche meno schizzinoso. Un dettaglio positivo che in fase pre-elettorale ha determinato però qualche incidente e, talvolta, qualche imbarazzo. 


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