14 Marzo 2017, 05:53
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PALERMO – “Il signore voleva quella ottima”. A Palermo doveva arrivare solo cocaina di qualità. Antonino Lupo, 53 anni, era un tipo esigente. Secondo la Procura di Catania e i finanzieri della Tributaria, il fratello del boss di Brancaccio, Cesare, era il signore della droga, capace di gestire un imponente traffico di stupefacenti. Da ieri si trova in carcere assieme a Ignazio Antonino Catalano, che di anni ne ha 52.
Dentro un container c’erano 110 chili di polvere bianca che, piazzati sul mercato, avrebbero fruttato quasi cinque milioni di euro. I contatti con i grossisti sudamericani erano appannaggio di Vincenzo Civale. Quest’ultimo aveva un lavoro di copertura: faceva il pizzaiolo a Porto Cervo, nella rinomatissima Costa Smeralda. Un copertura se l’era creata pure Lupo attraverso la “Pregi di Sicilia”, una ditta con sede a Catania che ufficialmente importa frutta esotica.
Civale e Lupo usavano rispettivamente i nomi in codice “Ramon” e “Pedro” per scambiarsi messaggi via “pin to pin”, una chat per i telefonini Blackberry. “Perché i milioni saranno tanti anzi tantissimi… qui ne hanno a tonnellate e vogliono lavorare con noi”, scriveva Pedro. Civale parlava spesso anche con Peguero Cruz, l’uomo che gestiva i contatti con i narcos colombiani: “Andiamo a Palermo con mio signore… dobbiamo parlare di tutto con mio signore”.
Non avevano fatti i conti con la capacità degli investigatori catanesi di intercettarli e con un incredibile errore. Tra il 4 e il 5 marzo scorso frenetici sono stati i contatti fra Peguero, alias “Maria Teresa”, e Pedro. Il successivo 8 marzo sarebbe arrivato un grosso carico di stupefacenti: “Mercoledì arrivano 100 a Salerno”. Ed ecco l’incredibile errore. Gli spedizionieri hanno caricato la merce sulla nave sbagliata: “Digli al signore che la mia gente sta mandando 100 per sbaglio che invece di mandarli a Palermo lo stanno facendo a Salerno”. E così Pedro ha scritto a Lupo: “E invece hanno sbagliato nave e l’hanno caricato su una nave che arriva a Salerno mercoledì della prossima settimana… ci sono dentro 100 che erano per noi”.
Peguero ha cercato di attivarsi. Sperava anche nell’aiuto di Lupo per recuperare la droga. L’8 marzo è arrivata la risposta dell’uomo di Brancaccio: “Il problema è che la nave arriva domani… Quindi in non credo che riusciremo a fare qualcosa… Sono giorni che ti stavo scrivendo per dirti questa cosa…Vabbè non fa nulla… Leggeremo sul giornale quello che troveranno”.
È andata davvero così. Solo che sui giornali non è finita solo la notizia del sequestro, ma pure del loro arresto. A bordo della nave Brussels c’erano cento chili di cocaina. E a giudicare dalle parole intercettate era solo uno dei tanti affari in corso visto che parlavano di “tonnellate”.
L’indagine si concentra adesso sulla capacità dei palermitani di sborsare enormi cifre per importare la cocaina con la copertura di una piccola azienda catanese da cui partivano le ordinazioni via e mail di frutta esotica. Chi sono i finanziatori? E qui si innesta la parentela di Antonino Lupo, fratello di Cesare, uno dei mafiosi più potenti della recente Cosa nostra. Nel novembre scorso è diventata definitiva la condanna a ventotto anni di carcere per Cesare Lupo. In cella c’era tornato nel 2011, quando le indagini della Squadra mobile lo piazzarono assieme ad Antonino Sacco e Giuseppe Faraone nel triumvirato alle dipendenze del capo mandamento Giuseppe Arduino, l’uomo incaricato di gestire il patrimonio dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. La sorella Nunzia da Roma avrebbe controllato che tutto andasse per il verso giusto.
A Brancaccio hanno sempre fatto affari con la droga. E probabilmente di questi affari si parlò nel summit organizzato nel 2011 al maneggio Villa Pensabene, allo Zen. La verità è che nonostante i sequestri la capacità economica dei clan mafiosi resta forte. Le indagini vecchie e nuove dicono che sono sempre i fratelli Graviano, capimafia dell’ala stragista di Cosa nostra, nonostante il 41 bis, a reggere le sorti del mandamento di Brancaccio. Filippo e Giuseppe hanno coinvolto la sorella Nunzia, tornata in libertà dopo avere scontato una condanna per mafia e poi finita di nuovo in cella.
Nunzia, soprannominata la picciridda, si era trasferita a Roma, dove gestiva un bar. Viveva in un bell’appartamento ai Parioli. Ed è qui che fu arrestata nel 2011. Ed è qui che le portavano i soldi . Venti minuti dopo le 14 del 23 dicembre 2010, una Mercedes lasciava il parcheggio dell’Az Trasporti di via Salvatore Cappello. Azienda che sarebbe poi stata sequestrata perché riconducibile a Cesare Lupo. A bordo c’erano due uomini. Il passeggero era Arduino. Da lì in poi avrebbero avuto sempre alle calcagna i poliziotti fino al loro arrivo in via Santa Maria Goretti, quartiere Trieste, nel cuore dei Parioli, una delle zone più signorili della Capitale. Arduino scese dalla macchina all’altezza del civico 16, sotto una pioggia battente. Dal bagagliaio prelevò alcuni pacchi. Dentro c’erano, secondo l’accusa, i soldi della cosca. In quella casa abitava Nunzia Graviano. I soldi erano per lei.
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14 Marzo 2017, 05:53