06 Novembre 2014, 19:10
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PALERMO – Stesso processo, destini diversi. Per una famiglia di costruttori arriva il dissequestro dei beni. Per altri due imprenditori, invece – uno di questi è stato condannato per mafia – scatta la confisca. È andata bene ad Antonino Privitera, ai figli Saverio e Daniela, e alla moglie Annita Cataldo. È andata male con la conferma della confisca in secondo grado a Vincenzo Pipitone e Lorenzo Altadonna. Il processo è in corso davanti alla sezione Misure di prevenzione della Corte d’appello.
Confiscato il patrimonio di Vincenzo Pipitone, originario di Torretta. I suoi guai giudiziari iniziarono nel 1985, quando fu sottoposto alla sorveglianza speciale perché considerato affiliato alla famiglia mafiosa di Carini. Nel giugno del 2006 finì in carcere perché dello stesso clan, secondo l’accusa, era diventato il leader. Nel 2007, un nuovo arresto per estorsione e riciclaggio aggravato. A lui la Corte d’appello presieduta da Antonio Caputo ha confiscato beni per un valore che supera i due milioni di euro. Ci sono anche terreni e ville fra Carini e Torretta.
La scure delle Misure di prevenzione si abbatte pure su Lorenzo Altadonna. imprenditore carinese indagato nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco. Accuse che, però, non hanno retto al vaglio dei giudici. Altadonna è stato assolto con sentenza definitiva. Le ipotesi accusatorie, però, furono ritenute sufficienti per dichiararlo “socialmente pericoloso” e sottrargli terreni a Carini dove aveva in progetto una grossa lottizzazione. Per entrambi, sia Pipitone che Altadonna, inevitabile il ricorso in Cassazione delle difese.
Tirano un sospiro di sollievo, invece, i Privitera. Il capostipite, Antonino, era finito in carcere nel 2007. Secondo gli investigatori, faceva parte della rete di insospettabili al servizio del clan Pipitone per conto del quale si sarebbe intestato dei beni. L’avvocato Giovanni Casciorerro riuscì a dimostrare la sua innocenza. E venne assolto. Lo stesso legale ha sempre sostenuto che non c’era alcun rapporto illecito con la mafia dietro le aziende edili di famiglia: la Oirevas e la Priferco costruzioni. Si tratta delle due imprese ora dissequestrate, assieme a macchinari, uffici e terreni. Un gruzzolo da centinaia di migliaia di euro restituito ai Privitera.
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06 Novembre 2014, 19:10