27 Gennaio 2010, 07:00
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Tra i beni sequestrati dalla Dia e dalla Guardia di finanza all’imprenditore di Santa Margherita Belice (Agrigento) Rosario Cascio ci sono 15 tra ditte individuali e società di capitali che operano nel settore edilizio e intestatari di 200 appezzamenti di terreno, che si trovano nelle province di Agrigento e Trapani, 90 fabbricati, 9 stabilimenti industriali tra cui diversi silos e 120 automezzi. Sotto sequestro sono finiti anche i seguenti beni intestati a Rosario Cascio e alla moglie, anche attraverso prestanomi: 60 appezzamenti di terreno, 80 tra ville, appartamenti, palazzine e magazzini, 50 veicoli e un’imbarcazione da diporto. Complessivamente il patrimonio sequestrato ammonta a 550 milioni di euro. Cascio, 75 anni, residente a Partanna (Trapani), è considerato uno dei cassieri del superlatitante Matteo Messina Denaro. L’uomo era a capo di una vera e propria holding mafiosa. Arrestato un anno e mezzo fa, è stato condannato, in via definitiva, per associazione mafiosa in seguito al processo scaturito dalle accuse del pentito Angelo Siino. Il provvedimento è stato adottato dal Tribunale -Sezione misure di prevenzione di Agrigento, su proposta del direttore della Dia e della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Maggiori dettagli sull’operazione saranno illustrati alle 10.30, nel corso di una conferenza stampa cui parteciperà anche il direttore centrale della Dia e il comandante regionale della Guardia di finanza, presso la palazzina M del Palazzo di giustizia.
Scarpinato: “Bloccata la restituzione dei beni sequestrati”
Parte dell’ingente patrimonio sequestrato dalla Dia e dalla Guardia di Finanza, su disposizione del tribunale di Agrigento, all’imprenditore Rosario Cascio era già stato oggetto di un provvedimento di sequestro penale nel 2008, quando Cascio venne arrestato. La misura fu però parzialmente annullata dal tribunale del riesame, la cui decisione, però, è stata “bocciata” dalla Cassazione su ricorso della procura di Palermo. La circostanza è stata resa nota dal pubblico ministero Roberto Scarpinato che ha coordinato l’indagine patrimoniale che ha portato alla misura. “Il tribunale del riesame – ha spiegato – aveva motivato il dissequestro sostenendo che parte dei beni non erano serviti alla consumazione del reato confermando la misura solo in relazione alle imprese di Calcestruzzi attraverso le quali, Cascio, grazie al metodo mafioso esercitava il monopolio nel settore”. “Contro questa decisione – ha aggiunto – abbiamo fatto ricorso, ma, nel frattempo, abbiamo bloccato il patrimonio col sequestro di prevenzione proposto dalla Dia”.
“L’imprenditore Rosario Cascio – ha aggiunto Scarpinato – può considerarsi l’interfaccia economico del boss trapanese Matteo Messina Denaro. Abbiamo accertato che col capomafia latitante aveva rapporti attraverso il mafioso Filippo Guttadauro. L’imponente sequestro del suo patrimonio, pertanto, é certamente un colpo formidabile all’economia di Cosa nostra”. Scarpinato, che ha definito l’impero imprenditoriale finito sotto sequestro una “straordinaria macchina attraverso la quale la mafia acquisiva consenso”, ha ricordato il ruolo svolto, alla fine degli anni ’80 da Cascio nel sistema della spartizione degli appalti. L’imprenditore, infatti, fu condannato in via definitiva nel cosiddetto processo del tavolino che mise in luce il sistema dell’illecita aggiudicazione dei lavori ideato da Cosa nostra. Cascio, a fine del 2008, venne riarrestato, dopo avere finito di scontare la prima pena, “perché – ha spiegato Scarpinato – aveva riprodotto in scala lo stesso sistema del tavolino nelle province di Agrigento e Trapani”.
Alfano: “Uno straordinario successo”
“Il sequestro disposto dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Agrigento su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo per oltre 550 milioni di euro in beni immobili e società di proprietà dell’imprenditore agrigentino Rosario Cascio, ma riconducibili anche a Matteo Messina Denaro, segna un ulteriore straordinario successo nel contrasto alla criminalità organizzata mafiosa”. Lo afferma, in una nota, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che evidenzia come tale sequestro “sia stato possibile grazie alle innovazioni apportate nei mesi scorsi in materia di misure di prevenzione”. “Infatti – prosegue la nota – gli stessi beni sequestrati nel corso di un processo penale a carico del Cascio nella sua fase cautelare, erano stati in parte restituiti al boss mafioso a seguito dell’annullamento da parte del Tribunale del Riesame di Palermo del sequestro preventivo. E soltanto attraverso l’inasprimento del meccanismo delle misure di prevenzione adottato nell’attuale legislatura è stato possibile configurare la pericolosità dei beni in quanto tali, a prescindere da quella del loro proprietario, già condannato una volta per associazione mafiosa, ma in tempi ormai remoti, e dunque sottrarli alla disponibilità della criminalità organizzata”. Il valore “strategico” del sequestro di beni “é dato – continua la nota del ministero della Giustizia – anche dalla circostanza che esso serve a togliere linfa vitale alla latitanza di Matteo Messina Denaro, l’ultimo degli stragisti ancora pericolosamente in libertà, nei confronti del quale, così come dei suoi fiancheggiatori, l’azione di accerchiamento dello Stato sarà incessante fino alla sua cattura”. Il ministro Alfano, che nel suo staff annovera anche uno dei magistrati che si è a lungo occupato della caccia a Messina Denaro (il vice capo di gabinetto vicario Roberto Calogero Piscitello, ex pm della Dda di Palermo), si complimenta “vivamente con i magistrati e con le forze dell’ordine”.
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27 Gennaio 2010, 07:00