10 Febbraio 2018, 14:18
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Il 4 marzo andremo a votare con una pessima legge elettorale, principalmente per due ragioni. Vediamole. Ricordate il Porcellum duramente contestato e dichiarato incostituzionale dalla Consulta? Ci risiamo con il cosiddetto Rosatellum, furbescamente confezionato per non incorrere daccapo nelle censure della Corte Costituzionale.
Ci illudevamo di aver gettato definitivamente alle nostre spalle la stagione dei “nominati”, personaggi vari dell’universo dei Palazzi consacrati senatori e deputati a tavolino, sulla base del grado di fedeltà al capo e alle nomenclature consolidate del potere. Con le preferenze, pur con limiti e ambiguità delle stesse, almeno si consegnava agli elettori la responsabilità di una buona o cattiva rappresentanza parlamentare e si costringevano i candidati a confrontarsi con il consenso popolare.
Il nuovo sistema elettorale non consente all’elettore opzioni tra i candidati (le liste al proporzionale sono bloccate e formate secondo l’ordine elettivo determinato dai partiti) e non consente di decidere chi dovrà governare il Paese. Favorisce le coalizioni che, però, non sono vincolanti e favorisce ulteriormente l’elezione nel proporzionale (ben il 64% dei seggi di Camera e Senato) proprio dei “prescelti”. In pratica, senza scendere nei dettagli tecnici, il voto dato a un candidato del collegio uninominale (il 36% circa dei seggi di Camera e Senato) si estende automaticamente alla lista o alle liste a lui collegate nel proporzionale (le schede saranno uniche per uninominale e proporzionale, separate per Camera e Senato).
L’elettore non è libero di votare per un candidato del collegio uninominale e basta o per una lista del proporzionale non collegata al candidato nell’uninominale, è vietato infatti il cosiddetto “voto disgiunto” che abbiamo conosciuto e praticato alle recenti comunali e regionali. Insomma, gli apparati si sono blindati imponendo a priori gli eletti (pardon, i nominati). Esistono delle soglie di sbarramento, ne cito alcune: il 3% per le singole liste e il 10% per le coalizioni (soglia del 10% all’interno della quale vengono computati nel calderone generale pure i voti delle liste che hanno raggiunto l’1%, sempreché una di esse abbia toccato il 3%. Genialata che ha aperto il mercato delle vacche tra i grandi e i piccolissimi partiti per l’assegnazione di qualche collegio uninominale in cambio di una preziosa manciata di voti).
Perché il cittadino non può conoscere chi governerà già al momento in cui inserisce la scheda nell’urna? Le coalizioni, lo ripetiamo, non sono vincolanti, possono cioè sciogliersi un secondo dopo lo spirare del 4 marzo. Quindi, voti A perché non vuoi B ma è altamente probabile (essendo arduo per qualsiasi schieramento in campo raggiungere la maggioranza) che ti ritrovi poi un governo composto da A+B o, addirittura, da A+B+C (un bel “governissimo”), senza nemmeno la sicurezza che duri cinque anni. Un proporzionale puro, a conti fatti, sarebbe stato più onesto.
La conseguenza probabile, alimentando a dismisura l’astensionismo, sarà che il tuo voto ti apparirà in un certo senso quasi inutile (anche se indirizzato alle formazioni più grandi e coalizzate, apparentemente alternative tra di loro in campagna elettorale), tanto i patti sono già stati siglati o saranno siglati nel segreto delle blindatissime segreterie di partito dove il cittadino con la sua volontà non ha diritto d’accesso. Qualcuno dei gentili lettori potrebbe chiedere, e allora? Che facciamo? La risposta non è facile, il quadro complessivo non aiuta le risposte facili. Rimane, rifiutando la fuga inconcludente nell’astensione, l’obbligo morale di muoversi secondo quanto suggeriscono la coscienza e gli orientamenti ideali o ideologici di ognuno, con la consapevolezza, però, che il sistema elettorale lascia all’elettore spazi minimi di libertà e poche certezze sul piano della governabilità e di chi governerà nell’arco della legislatura.
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10 Febbraio 2018, 14:18