31 Marzo 2019, 06:24
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Dovessi parlare di donne, direi che quando era il tempo delle chewing gum appiccicate sotto il banco, era tutto più facile. Oppure tremendamente difficile, come quando avrei voluto dire qualcosa di imbarazzante ad una piccola lei e non trovavo il coraggio di farlo. Direi che quando era il tempo del mio eskimo verde e del suo cappottino azzurro e arancio, era complicato trovare le parole giuste, e i tempi giusti, e le giuste manovre di avvicinamento per evitare di ferirsi il cuore con un prevedibilissimo no. Poi magari c’era un imprevedibile sì ad aspettarti; e lì due mezze mele acerbe si potevano unire per un piccolo tratto di strada insieme.
E poi direi delle gite scolastiche e delle chitarre in fondo al pullman; quando al ritorno l’autista lasciava accese le sole luci blu, tenui e concilianti, e i sedili laggiù in fondo potevano scaldarsi fino ad infiammarsi. Dovessi ricordare di donne, direi che quando era il tempo dei libri dell’università capitava che alcune pagine si bagnassero di thè, e di accorgersene quando c’era da ripassare da soli, dopo che ci si era lasciati, quando si sarebbero potute bagnare ancora, ma di lacrime. Ricorderei anche che quando era il tempo del treno e della mia divisa militare, c’era anche una mano da baciare dal finestrino, che dopo un attimo si staccava e si allontanava troppo velocemente.
Insomma, dovessi scrivere di donne direi senza indugi che incontrare una donna significa trovarsi una porta davanti. Prima di bussare bisogna scrutarsi dentro, capire senza fronzoli le proprie intenzioni; poi, se la si guarda bene, lì di fronte, si può vedere che c’è una piccola insegna dove sta scritto “rispetto”. Non tutti se ne accorgono; c’è chi bussa a quella porta perché sta ancora cercando una mamma, oppure chi crede di trovare un negozio di giocattoli.
Qualcuno si convince di aver trovato, una volta entrato, il proprio bottino di guerra, o un territorio da dominare, come un invasore barbarico. E c’è persino chi ignora a tal punto quella piccola scritta, da volerla sfondare, la porta, per entrare a tutti i costi. Maiale distratto. Ma c’è anche che, dovessi ‘denunciare’ le donne, non perderei nemmeno un minuto per rinnegare quegli androgini che vogliono riprodurre tutto il maschile peggiore – prepotenza, arrivismo, spietatezza, aridità – per affermare la propria nuova identità brillante, la propria autosufficienza, la propria vittoria su una femminilità mortificata perché considerata perdente. Il maschio peggiore può essere una femmina camuffata.
Poi mi angustierei ancora un po’, se dovessi descriverle grottesche, quando non accettano le leggi implacabili del tempo che passa: provo un sentimento di ineffabile tenerezza quando conosco donne che imparano ad invecchiare senza trucco e senza inganno.
Dovessi dire di donne autentiche, invece, direi tutto ciò che è stato detto sul potere dei fiori. Tutto è stato già provato e studiato sul cuore maschile che si colora improvvisamente, miracolosamente, incontrando una donna. Tutte le donne in una, è così. La sera, quando stai per addormentarti ti vengono in mente, un po’ sfuocate, o sbiadite. Ma alcune ancora ti parlano, o ti lanciano ancora dei sorrisi, da un passato lontano. Sulle strade scoordinate e inspiegabili della vita di ognuno di noi c’è quasi sempre l’avvento di un fulmine inopportuno, proprio quando c’era altro a cui pensare, altri impegni da prendere e luoghi da visitare, qualcos’altro da inseguire. È stato così per me.
Dovessi raccontare delle mie donne, appunto, ricorderei di quando incontrai una lei sbagliata, che aveva un bagaglio di vecchi oggetti arrugginiti da mostrarmi, perché glieli riparassi. E prima ancora che me ne rendessi conto lei mi girò le spalle lasciandomi con le mani sporche ed il cuore a pezzi. Ricorderei, allora, che mi accorsi di aver incontrato la lei giusta quando una ragazza improbabile mi sbalordì con i suoi superpoteri. Come quello, dolcemente femminile, di illuminare e colorare la mia vita maschile, divenuta scura e grigia. O quello di riempirmi la vita di biciclette e di cioccolata.
Dovrei dire che quella giusta si incontra dall’altro lato del mondo, forse sulla luna, ma ti sembra sempre di averla trovata dietro l’angolo. Quella giusta, te lo fa capire in mille modi che è proprio lei, quando ti accorgi che non ti va di stare in macchina senza nessuno che ti metta la musica; quando non riesci ad immaginare un viaggio senza di lei, quando mangi da solo e trovi che ciò che ingoi non ha gusto. Dovrei dirlo.
Si, si, dovrei: se dovessi confidare di donne, dovrei dire di quando mi comunicava le sue maternità prossime senza parole, con le sue mani divenute più morbide e calde. La nuova vita arriva senza proclami; te la trovi fra le mani. Dovessi scrivere, parlare, dipingere di donne, quindi, non riuscirei a farlo facilmente, in pochi tratti. Sarebbe un’impresa da perdersi. Perché c’è da perdersi in quell’universo desiderato e spesso lontano; c’è da smarrirsi tra i colori, c’è da annegare nella fantasia e nell’estro, si potrebbe alterare un meraviglioso equilibrio di perfetta imperfezione. Meglio non dire nulla. Meglio non aggiungere altro. Rischierei di imbrattare con un’inutile pennellata grossolana la parete rosa di casa mia. La più bella.
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31 Marzo 2019, 06:24