30 Novembre 2016, 16:37
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E’ nel torbido intreccio di un amore diabolico tra un’infermiera che odiava il marito e un medico anestesista che applicava la sua etica della morte quasi sistematicamente nelle corsie di un ospedale – dove molti avrebbero saputo e taciuto – che si devono trovare le radici della drammatica vicenda emersa a Saronno, nel Varesotto. Dove le indagini dei carabinieri hanno portato alla luce morti sospette tra i ricoverati e presunti omicidi in famiglia. Una trama violenta che nasce dal rancore per la convivenza forzata in famiglia, a Lomazzo, piccola cittadina nel Comasco, e dal desiderio di liberarsi dai vincoli che impediscono una passione che non si contiene e diviene delirante: quella tra l’ex viceprimario del pronto soccorso di Saronno, Leonardo Cazzaniga, 60 anni, separato, di Rovellasca (Como) e la sua amante, l’infermiera Laura Taroni, di 40, ora entrambi accusati di omicidio volontario. “Li vedevano tutti, erano stati sorpresi diverse volte a scambiarsi effusioni nei reparti”, raccontano i colleghi sentiti dagli inquirenti. Ma i due non si limitavano ad amoreggiare. Progettavano una morale della morte. “Secondo te potrei essere accusato di omicidio volontario? (…) Se si documenta che ho praticato l’eutanasia…io non sono neanche l’unico”, diceva all’amante in un’intercettazione. E lei: “L’eutanasia è un’altra cosa (…) cioè tu firmi e ti fanno un cocktail di farmaci (…) loro non riuscivano nemmeno a respirare”.
A fronte di questa passione sfrenata, di questa complicità totale, la vicinanza quotidiana del marito 45enne “che pretendeva rapporti sessuali” e a cui la moglie “metteva dei medicinali nell’acqua per abbattergli la libido” doveva sembrare una sofferenza insopportabile ai due folli amanti. Laura viveva anche con i due figli di 11 e 8 anni. Una convivenza forzata in una villetta su due livelli, una volta la casa padronale di una florida azienda agricola, e oramai solo una decadente abitazione, mezza ristrutturata e mezza no, con il giardino incolto. Di fianco a loro, in una casa su tre livelli, ben tenuta, vivono invece i parenti dell’uomo che lei “odiava”, come si evince senza mezzi termini da intercettazioni. Cosi’ alla fine, prendendo ‘esempio’ dal protocollo di farmaci usato per la sua ‘dolce morte’ – conosciuto da molti colleghi come il “protocollo Cazzaniga” – è scattato il piano “delle menti omicide messe insieme così geniali” per eliminare il marito. Che prevedeva “del cardiotonico e dei betabloccanti nel caffè” giorno dopo giorno, contemporaneamente facendogli credere (grazie alla complicità di altri medici, ora indagati) che fosse molto malato. Lui alla fine è morto nel giugno del 2013 (la Procura ritiene che si sia trattato di omicidio) e allora il delirio si è spostato sui parenti superstiti e ha coinvolto anche uno dei due figli della donna in orrendi ragionamenti di morte. “Ma poi la nonna Maria la facciamo fuori…”, e “Poi c’è tua zia Gabriella… (…) Le avresti fatte sparire così? Non è così semplice, sono grosse! L’umido da noi passa solo una volta a settimana (…) non abbiamo più neanche i maiali”.
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30 Novembre 2016, 16:37