28 Giugno 2018, 11:59
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Appartengo alla generazione che negli anni del Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 65) viveva l’adolescenza. Ovvio, perciò, che i decenni successivi – della giovinezza e della maturità – siano stati segnati dalla speranza di vederne i frutti. Si sono visti davvero? Dipende da cosa ci si aspettava. Chi attendeva un “aggiornamento” del linguaggio, di alcune norme liturgiche, di alcuni costumi del clero e dei laici può ritenersi soddisfatto: fenomenologicamente un abisso separa la Chiesa di Pio XII dalla Chiesa di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo I, di Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI.
La stessa soddisfazione non possono avvertire quanti si aspettavano che la Chiesa andasse oltre un pur necessario intervento di maquillage , che avesse il coraggio (non solo intellettuale) di tornare a riesaminare criticamente la propria storia alla luce del fondamento evangelico per sfrondarsi di tutto ciò che – sul piano dogmatico e morale – aveva finito con il soffocare il messaggio originario del Maestro di Nazareth. Per quanti, insomma, il Concilio ecumenico Vaticano II doveva segnare un cambio di “paradigma” nel modo di intendere e di vivere il cristianesimo, la delusione è stata notevole.
Le conseguenze di questa delusione sono sotto gli occhi di tutti: nell’ultimo mezzo secolo i cittadini che si dichiarano cattolici sono diminuiti di molto e quanti frequentano effettivamente le chiese sono ancora meno. Ma cosa davvero non va nell’insegnamento ecclesiastico? Come dovrebbe riformarsi per essere, a un tempo, più fedele al vangelo e più convincente per le persone sveglie e mediamente istruite? La risposta non può provenire né da teologi ‘ufficiali’ (che di solito sanno, ma non possono parlare se vogliono conservare le cattedre) né dagli intellettuali ‘laici’ (che possono parlare liberamente, ma di solito non hanno una preparazione specifica nell’ambito degli studi teologici).
Per fortuna, in questi ultimi anni, si vanno affacciando sulla scena pubblica teologi di salda formazione cattolica che, sfidando i fulmini del Vaticano, dicono e scrivono con chiarezza ciò che pensano. E’ il caso – per limitarci al nostro Paese – di Carlo Molari, Ortensio da Spinetoli, Franco Barbero, Alberto Maggi, Ferdinando Sudati, Vito Mancuso… In questa scia troviamo gli scritti di Elio Rindone il cui ultimo volume (dal titolo eloquente: Un magistero anacronistico ?, www.ilmiolibro.it , Roma 2017) sarà presentato a Palermo giovedì 28 giugno alle ore 18,00 presso la Casa dell’equità e della bellezza di via N. Garzilli 43/a. In questa raccolta di articoli l’autore esamina, in dettaglio, le contraddizioni e i limiti dell’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Qualche cattolico praticante potrebbe, per eccesso di ingenuità, chiedersi: perché occuparsi di rileggere criticamente dottrina e prassi ecclesiali se il buon Dio ci ha donato il rivoluzionario papa Francesco? Elio Rindone, quasi a prevenire questa considerazione, sin nella Prefazione esprime delle riserve radicali sulla possibilità che l’attuale “vescovo di Roma” voglia e possa farsi promotore dei mutamenti ormai indilazionabili. A suo parere nessun organismo sociale – meno che mai un organismo plurimillenario e planetario come la Chiesa cattolica – può rigenerarsi per merito (o, secondo altri, per colpa!) di un solo soggetto, fosse pure investito di enormi poteri. Tra quanti vogliono che la Chiesa non si riduca a una riserva indiana, con personaggi pittoreschi che pensano e vivono da medievali, ma diventi la comunità plurale di quanti riconoscono (senza esclusivismi presuntuosi) nel vangelo di Gesù un faro decisivo per orientarsi nell’oscurità della storia, ognuno deve apportare il proprio contributo: in capite et in membris , dalla testa sino a tutte le membra.
In quest’azione sinergica ognuno spenderà i propri carismi, le proprie esperienze, le proprie competenze: ma a tutti devono essere chiare le méte e le ragioni per cui valga la pena di procedere, con saggezza e decisione, verso di esse. E tra questi obiettivi c’è da metterne a fuoco uno: non basta che cambino i pontefici se resta immutato il pontificato. Sino a quando resterà una struttura monarchica, fortemente gerarchizzata, sul modello dell’Impero Romano, la Chiesa cattolica non potrà convertirsi all’essenza del messaggio evangelico che annunzia la fraternità e la sororità degli esseri umani, tutti e tutte figliuoli del medesimo Dio, Padre e Madre comune.
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28 Giugno 2018, 11:59