04 Maggio 2012, 08:59
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La nuova impugnativa del Commissario dello Stato, che cassa la legge riscritta dopo la bocciatura parziale della Finanziaria, suona come un triste epitaffio per il governo regionale guidato da Raffaele Lombardo. Unirsi al coro impietoso che ha accomunato ieri opposizioni e parti sociali, che hanno bollato come incapace e incosciente la giunta, sarebbe troppo semplice. E forse anche troppo comodo, per chi da mesi ha riportato puntualmente i ripetuti allarmi lanciati delle parti sociali sulla folle corsa verso il default intrapresa dalla Regione.
Certo, la bocciatura-bis del Commissario, malgrado la scelta di Raffaele Lombardo di promulgare comunque la legge sfidando lo Stato in nome dell’autonomia, imporrebbe forse al presidente della Regione e all’assessore al Bilancio un’autocritica che non c’è parso di sentire. Certo, è indiscutibile che i primi responsabili di quanto accade in queste ore sono coloro che portano sulle spalle la responsabilità di governo e che in questi mesi hanno forse sottovalutato la situazione drammatica dei conti della Regione che tante cassandre inascoltate, da Confindustria ai sindacati, quotidianamente denunciavano, dando l’impressione di essere più interessati a occuparsi di nomine e strapuntini che dei tragici conti regionali.
E però, onestà intellettuale impone di osservare che l’ennesimo, forse definitivo fallimento vergato ieri dalla penna del Commissario dello Stato, ha molti padri e molte madri. Che non siedono solo sui banchi di governo. Ma che albergano anche nei banchi di chi oggi, sedendo all’opposizione, s’ammanta di vesti di censore. Perché il disastro economico al quale la Regione siciliana è inevitabilmente arrivata prende le mosse da molto lontano. Ed è il frutto di anni e anni di gestioni scellerate del denaro pubblico. Di fameliche clientele che hanno ingrossato i ranghi del personale a vario titolo foraggiato dai soldi dei contribuenti. Di prebende e regalie che hanno sottratto alla parte produttiva della Sicilia risorse destinate invece a irrobustire sacche di consenso elettorale drogato. Basterebbe scorrere i numeri relativi al famigerato capitolo della Formazione professionale durante i due governi di Totò Cuffaro per avere un esempio emblematico di tutto ciò.
Il risultato oggi è quello di una Regione commissariata. Anzi, diciamolo pure, di una Regione umiliata. Ma di fronte a un simile disastro e una siffatta prova di inaffidabilità di una classe politica – inaffidabilità che per le ragioni sopra esposte travalica i confini di una coalizione e supera, tristemente, le logiche maggioranza-opposizione – ci chiediamo dove si vuole portare la Sicilia da qui all’autunno. Perché se davvero a ottobre torneremo a votare per le regionali, sarebbe forse il momento di affrontare l’eccezionalità della situazione siciliana con coraggio e responsabilità. Superando schemi di contrapposizione politica in cui partiti tra loro nemici copiano a vicenda le peggiori condotte dell’avversario. Ci chiediamo, insomma, se di fronte a un tale disastro, frutto di lunghi anni se non di decenni di gestioni irresponsabili, non sia arrivato il momento di un governo di salute pubblica, che affidi la Sicilia a mani al di sopra di ogni sospetto, fuori i partiti, oltre le coalizioni. I risultati dei nostri sondaggi, alla buona per carità, che, tanto per fare un esempio, hanno visto i nostri lettori votare in massa per un Piero Grasso presidente della Regione, ci lasciano pensare di essere in buona compagnia.
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04 Maggio 2012, 08:59