Compriamo o prendiamo? | La scelta ormai è vintage

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09 Giugno 2019, 17:47

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Più per noia che per reale interesse, mi capita tra le mani un vecchio dizionario etimologico. Lo apro a caso, e gli occhi cadono sulla voce comprare.

“Sincopato di comperàre, dal latino comparàre, paragonare, perché il compratore deve prima conguagliare il prezzo colla cosa, che riceve in cambio”. Paragonare, quindi, confrontare ciò che si sta comprando col prezzo richiesto dal venditore. In effetti, è questo il percorso logico del compratore-modello: giudicare se la qualità della merce vale il prezzo richiesto. Chiudo il dizionario, lo ripongo.

Circola voce che il negozio del futuro sarà una specie di immenso magazzino, inzeppato di telecamere che memorizzano i volti degli avventori, li seguono mentre prelevano la merce dagli scaffali, inviando impulsi elettronici che faranno registrare il prelevamento degli oggetti nel “carrello” virtuale di un’applicazione per smartphone. Quando si varcherà la cassa, automaticamente, sulla carta di credito del compratore verrà addebitato l’importo della merce prelevata. Niente commessi, né addetti alla vigilanza antitaccheggio. Addio anche alla procace cassiera che, lesta nonostante le unghie ad artiglio, batte sulla tastiera del registratore e mormora a tutti un meccanico “arrivederci”.

Questo sarà ciò che ci attende, e poi ci si lagna per la riduzione dei posti di lavoro. Ma senza volere pensare a questi sviluppi estremi di un domani che si annuncia abbastanza vicino, ci basta guardare all’oggi: si acquista online tutto ciò che si può, dalla cancelleria agli accessori, dalle calzature alla pizza. Un click, impartito in qualunque momento del giorno o della notte, magari anche durante quei minuti di più intima meditazione, nei quali – fino a poco tempo fa – la fonte d’ispirazione era tutta affidata ad una rivista d’automobili, o ad un patinato rotocalco gossipparo.

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Oggi non compriamo, prendiamo. Prova ne sia che nel linguaggio comune l’ultimo acquisto viene di solito così annunciato: “guarda qua, l’ho preso su Internet”. Non c’è il piacere della scelta, altro che confronto tra qualità e prezzo: al più si selezionano le diverse offerte della stessa merce, e si sceglie automaticamente il prezzo più basso, spedizione inclusa. Nessuno ci spiega le caratteristiche di ciò che stiamo prendendo, semmai qualche asettica descrizione, affidata ad un’accozzaglia di poche e stentate parole, a volte bizzarramente accostate da un traduttore automatico.

Bei tempi, nemmeno troppo lontani, quelli in cui ogni acquisto era vissuto come un piccolo evento: nel negozio di abbigliamento maschile, dietro il bancone tutto noce e specchi – residuato Liberty di un’epoca che fu – il commesso, gentile ma non servile, dopo aver preso le misure dell’orlo di un paio di pantaloni, sommessamente chiedeva: “vuole ricordarmi il suo riverito cognome?”. E poi, avutane risposta, il capo d’abbigliamento veniva spedito in sartoria, dove mani esperte lo avrebbero regolato sulle fattezze del futuro indossatore. Quei pantaloni sarebbero durati anni, fin tanto che i capricci della gola avrebbero imposto al girovita di relegarli per sempre nell’armadio.

Come dimenticare l’emporio di paese, segnalato dalla sibillina insegna “generi alimentari”: vi si trovava di tutto, dal profumato sapone di marsiglia alle candele, dal salame al veleno per sorci. Ricordo ancora una scena: Terrasini, metà anni ’80. Mentre la buon’anima di mio padre mi teneva per mano, onde evitare che toccassi la merce esposta qua e là, dalle tendine a listerelle multicolori che separavano l’ingresso dalla strada, fece capolino una canottiera con dentro una pancia a cocomero. Il volto non si vedeva, abbuiato dal sole del tramonto. “Vuogghio un cannavazzo…”, annunciò la canottiera. “Pigghiatìllo”, bofonchiò il negoziante dall’eterna matita sull’orecchio, senza nemmeno preoccuparsi di alzare gli occhi dalla copia spiegazzata del Sicilia.

Internet era ancora al di là da venire, la carta di credito era roba da ricchi e le telecamere – forse – le aveva soltanto la Standa: vuoi vedere che quell’imperativo scocciato aprì, senza saperlo, una finestra sul futuro?

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09 Giugno 2019, 17:47

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