07 Ottobre 2012, 12:49
4 min di lettura
PALERMO – Un impulso alla cultura come segnale di buon governo. Se ne è discusso, a Palazzo Steri, nel contesto degli eventi della Festival della Politica. L’incontro, dal titolo “La Cultura del Governo per una Cultura del Buongoverno”, è stato moderato dal presidente della Fondazione Plaza Manlio Mele.
La cultura “serve a creare valori, il primo fine della cultura è creare valori, rafforzare comportamenti – spiega Monica Amari docente dell’Università degli Studi Milano-Bicocca- e modelli di comportamento condivisi”. Il Rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, ha dato il benvenuto ai relatori e agli ospiti: “Devo dire che il giorno i cui fu costituito il governo Monti mi lasciai andare ad una battuta e dissi ai colleghi del Senato accademico: un paese che decide di affidarsi ai professori universitari è un paese alla frutta”. Una battuta con cui il Rettore introduce il dibattito sull’economia, facendo una deviazione sulla politica. “Fare politica attraverso il saccheggio delle risorse non è più possibile. Io vorrei prescindere dalla cifra etica di questa considerazione e dire che il fatto vero è che non ci sono nemmeno più le risorse per fare clientele. La politica deve capire di essere arrivata nel punto più distante dal paese reale” .
Insomma, la cultura può essere vista come core business del futuro per la Sicilia e il resto d’Italia. Considerazioni ed esperienze sensibili, come quella del Collezione Guggenheim di Venezia, che sostengono come sia possibile creare un impianto economico sano partendo dalla cultura. “La regione Siciliana – racconta Manlio Mele – ha avuto la possibilità di fare enormi investimenti, grazie ai fondi europei, ma non è riuscita a spenderli per la cultura. La Regione Siciliana pur possedendo il 22 per cento delle risorse artistiche del paese incassa dai beni culturali solo 4 milioni di euro” . Piani strategici culturali, un’economia culturale: è questo quello che suggerisce il tema dell’incontro. “Occorre un nuovo piano strategico una nuova cultura una nuova economia delle cultura. Coinvolgimento dei privati e delle imprese nel settore dei beni culturali. La cultura – spiega Manlio Mele- deve generare entrate: abbiamo bisogno di una nuova governance della cultura”.
Una governance che dovrebbe essere condivisa tanto nel pubblico quanto nel privato, come dimostrano le esperienze della Collezione Petty Guggenehim di Venezia e la Fondazione Palazzo Sant’elia e Gianluca Colli. “Conservare e preservare l’arte, collezionare arte, fare mostre, essere editori, creare attività didattiche, servire la comunità con concerti e conferenza, contribuire al turismo, creare occupazione, il successo del museo e – spiega Philip Rylands, direttore della collezione Peggy Guggenheim di Venezia – sentito personalmente dallo staff perché i soldi che prendiamo da un week end di successo vengono messi in banca tutto lo staff si identifica con il museo e diverso quando ci sono altre aziende.
“C’era una volta la Sicilia era molto bella ma anche molto povera, oggi la Sicilia – racconta Antonio Ticli, sovrintendente della Fondazione Sant’Elia – è un po’ più ricca e purtroppo un po’ meno bella. Il patrimonio storico conservato è capitale di un paese. Il patrimonio storico va difeso ma bisogna avere il coraggio di cambiare. Il legislatore deve ripensare il sistema dei vincoli nati per tutelare dalle barbarie che oggi si sono trasformati in morse”.
Mettere l’arte a sistema economico, quindi dotare i percorsi dell’arte di strutture e infrastrutture adatte ad accogliere i visitatori e i capitali: in questo modo si cerca di trovare una soluzione per dare alla cultura un peso rilevante tra le scelte di un governo. “Si pensi che l’Italia – spiega la professoressa Monica Amari – spende meno dell’un per cento del suo Pil in cultura. La Germania uno e le fiandre addirittura due: non c’è da meravigliarsi se poi i giovani fuggono dall’Italia” .
“La cultura è incerta e virtuale ma è quanto di più concreto ha l’uomo – racconta Marina Mattei dei musei capitolini di Roma – Coltura e cultura sono accomunate dalla stessa radice, la garanzia di uno spirito vitale. La Sicilia – continua Marina Mattei – è una terra dove l’arretratezza è stata una grande garanzia: perché e stato mantenuto il valore dell’umanità”. L’archeologa romana rimprovera che non ci siano mai stati dei controlli sistematici del patrimonio archeologico siciliano. Per tutti i presenti sembra esserci un denominatore comune: I beni culturali sono un valore umano ed economico che può cambiare l’economia della regione.
Pubblicato il
07 Ottobre 2012, 12:49