07 Gennaio 2024, 07:05
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È notizia di questi giorni che anche in Sicilia il termine di durata delle concessioni demaniali marittime, in scadenza al 31 dicembre 2023, è differito fino al 31 dicembre 2024. Lo ha stabilito un decreto firmato dall’assessore al Territorio e Ambiente. Non sono mancate le critiche. Il presidente di Legambiente Sicilia, uno su tutti, chiede il ritiro immediato del decreto dell’assessore Pagana nonché dell’emendamento alla Finanziaria in discussione all’Ars che proroga le concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2025, nel caso in cui non fosse possibile bandire per tempo le gare.
Ma facciamo un passo indietro nella annosa, infinita, questione della proroga delle concessioni balneari. Nel 2006, l’Unione Europea con la “direttiva Bolkestein” ha dichiarato non compatibili con il diritto comunitario i provvedimenti di proroga automatica delle concessioni balneari destinate all’esercizio delle attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra gli aspiranti. Questa direttiva, non essendo auto esecutiva, per essere efficace nel nostro ordinamento doveva essere recepita con una apposita legge. Che però non è mai stata varata. Da qui il caos.
Nelle more della revisione e del riordino della materia, da una quindicina di anni, ormai, le concessioni già in atto vengono di volta in volta prorogate in via legislativa. La prima proroga risale al 2009 sotto il governo Berlusconi, la successiva è arrivata nel 2012 con Monti per poi proseguire nel 2018 con Conte fino a giungere all’ultima stabilita dall’attuale governo Meloni con il decreto milleproroghe che allunga la validità delle concessioni al 31 dicembre 2024 e, per alcuni casi particolari, sino al 2025. Come se non bastasse, nel mezzo delle proroghe si inseriscono, in una sorta di continuo valzer, una pluralità eterogenea di provvedimenti provenienti da altri attori istituzionali: Corte di Giustizia europea, Corte Costituzionale, giudici amministrativi, Autorità garante della concorrenza e del mercato: tutti concordi nel ritenere i provvedimenti legislativi di proroga delle concessioni in contrasto con il diritto europeo (che, nella gerarchia delle fonti, riveste un rango sovraordinato a qualunque atto legislativo interno).
Anche il Capo dello Stato, lo scorso 30 dicembre, nel promulgare la legge annuale per il mercato e la concorrenza, inviando una lettera di osservazioni al Premier e ai presidenti di Camera e Senato, bacchettando la proroga delle concessioni per i venditori ambulanti, richiama a margine anche la proroga delle concessioni per gli stabilimenti balneari, oggetto, peraltro, di una precedente lettera del 24 febbraio 2023. Nel ruolo di garanzia che gli è proprio, Mattarella rivolge a Parlamento e Governo l’appello di mettersi “a breve” al lavoro su “ulteriori iniziative” che sono ormai “indispensabili”.
Tanti attori istituzionali, dunque. Ed in mezzo chi ci sta? In mezzo ci sono, innanzitutto, i titolari delle attuali concessioni in balìa di provvedimenti di opposto tenore, impossibilitati ad un minimo di programmazione, sia pure di breve termine. Ci sono anche i potenziali “concorrenti”, coloro che sperano di ottenere l’affidamento della concessione balneare e nell’impossibilità, anche loro, di organizzarsi in vista di una possibile gara che non si sa quando (e se) avrà luogo.
E poi ci sono gli utenti. Quelli che hanno il diritto di godere appieno delle spiagge e a prezzi contenuti. E’ indubbio che la questione della proroga delle concessioni demaniali marittime richieda un contemperamento tra opposte esigenze. Da un lato, l’adeguamento (necessario) ai dettami europei e che è attualmente oggetto di una procedura di infrazione a carico dell’Italia (le cui sanzioni, per inciso, saranno coperte con i soldi dei contribuenti): è infatti fuor di dubbio che le infinite proroghe, escludendo la concorrenza, hanno precluso la possibilità dell’apertura a nuove realtà economiche.
Gli 8.300 Km di coste italiane sulle quali insistono 12.166 concessioni, vengono assegnate, di fatto, sempre agli stessi operatori da decenni. Pensiamo per un attimo se tutto il resto dell’economia fosse regolato dallo stesso principio – concessioni che vengono continuamente prorogate, quasi tramandandosi come in una specie di “feudalesimo” -: sarebbe vanificato il valore giuridico ed economico che la concorrenza assume non solo nell’ordinamento europeo ma oggi anche in quello nazionale.
Dall’altro lato, occorre che queste stesse imprese che gestiscono spazi demaniali vadano salvaguardate negli investimenti e nell’avviamento, spesso decennale. A tutto ciò si aggiunge l’ulteriore esigenza di garantire ai cittadini una corretta gestione dei beni comuni, dal cui godimento nessuno può essere escluso, e da una correlata offerta di servizi che sia efficiente e di qualità.
Diverse esigenze, dunque, ma una comune necessità: quella di una normativa che sia chiara e che preveda regole uniformi in termini di durata delle concessioni, requisiti di partecipazione, composizione delle commissioni di gara, forme di pubblicità. Ciò anche per scongiurare il rischio che le varie amministrazioni comunali si muovano in ordine sparso. Una normativa con un approccio equilibrato che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti. Dove c’è valore, ci deve essere diritto. A tutela di tutti quelli che legittimamente chiedono di uscire dalla situazione di incertezza senza ulteriormente assistere ad un buttare la palla in avanti senza assumere decisioni concrete.
Si auspica quindi che il Governo attuale colga l’occasione della lettera inviata, in modo politicamente assai deciso pur nella compostezza che gli è propria, dal Presidente Mattarella. I cittadini tutti guarderebbero sicuramente con favore ad un provvedimento finalmente risolutivo che davvero persegua interessi generali e non interessi di singole categorie. Finchè tale riforma non sarà attuata gli operatori del settore continueranno a trovarsi in agonia o, meglio, è il caso di dire, a mare…
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07 Gennaio 2024, 07:05