08 Ottobre 2014, 06:15
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PALERMO – “Non ne usciamo più noialtri”. Vincenzo e Antonino Caltagirone, padre e figlio, erano terrorizzati. Temevano guai giudiziari. Guai che si sono manifestati ieri con l’arresto. Il primo è finito ai domiciliari, il secondo in cella. Secondo l’accusa, avrebbero aiutato Salvatore Maniscalco a disfarsi del cadavere della moglie Concetta Conigliaro, scomparsa il 9 aprile scorso da San Giuseppe Jato.
I Conigliaro sono stati “traditi” da alcune testimonianze e dalle intercettazioni. Gli indizi raccolti dai pubblici ministeri Gianluca De Leo e Ilaria De Somma hanno convinto il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare.
Sono entrambi parenti di Maniscalco e proprietari del magazzino dove era nascosto il fusto dentro il quale sarebbe stato bruciato il corpo di Concetta. E sarebbero le stesse parole dei due indagati a confermare la macabra distruzione del cadavere.
Le indagini sul loro conto sono partite proprio dal fusto. In corrispondenza alla scomparsa della ragazza, i Caltagirone sono stati visti mentre aiutavano Maniscalco a sgomberare la casa di via Crispi, a San Giuseppe Jato. In particolare, avevano lanciato dal balcone di casa, privo di ringhiera, un fusto in ferro utilizzato per impastare la calce per poi caricarlo sul camion. Si tratta del camion visto non lontano dal luogo dove Maniscalco ha indicato ai carabinieri di avere distrutto il cadavere.
I militari hanno quindi estratto i tabulati dei due indagati che il 9 e 10 aprile hanno avuto una sfilza di contatti con Maniscalco . Contatti che il Gip definisce “stranamente numerosi rispetto alle abitudini degli interlocutori e possono ragionevolmente trovare una spiegazione nella richiesta di aiuto, e nella concreta organizzazione dello stesso, da parte del Maniscalco e rivolta ai Conigliaro per l’attività di distruzione e occultamento del cadavere”.
Ma sono soprattutto le intercettazioni ad avere inguaiato i Conigliaro. Il 26 giugno 2014 i due parlavano di un trasporto eseguito per conto di Maniscalco. Erano appena stati convocati dai carabinieri. Vincenzo: “Ma chi glielo disse che gli facemmo un viaggio noi? Cantò lui che gli facemmo il viaggio noi?”. Antonio: “Ca certo, io non gliel’ho potuto dire”. Vincenzo: “Cornuto che è inutile, minchia… può morire là dentro”. Antonino: “Minchia sono scannaliato nelle cose. Da ora in avanti, prima che carichiamo una cosa… ma che c’è dentro? A passare i guai non ci vuole niente”.
Secondo i pm, stavano parlando del corpo della ragazza, anche se lo avrebbero scoperto in un secondo momento. Poi, discutevano del rischio che i carabinieri trovassero le loro tracce sul fusto. “… per questo ti dico alle volte, non toccare niente, non toccare niente, tu hai la mania che tocchi sempre tutte cose. Ha di bisogno… perché non muore.. per me buttare sangue dal cuore”.
Il 9 luglio padre e figlio concordavano la versione da rendere ai carabinieri che li avevano convocati per interrogarli. “Non ti impappinare, stai attento a quello che combini perché siamo nella merda”. “Tu gli devi dire noi altri a lui l’abbiamo preso qualche giornata e basta non sappiamo niente”. “Minchia Dio ci scanza, i guai passiamo tutta la vita in galera ci buttano”. “Prima devono essere sicuri, lo deve dichiarare lui con la sua bocca, perché fino a là ci vado e gli tolgo gli occhi là dentro”. E Antonino concludeva: “La mia vita è finita”.
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08 Ottobre 2014, 06:15