15 Settembre 2010, 15:59
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Pino Puglisi non era solo quando combatteva per strappare metri quadrati della periferia est di Palermo alla criminalità organizzata. Al suo fianco aveva, tra gli altri, il comitato Intercondominiale di Brancaccio. Assieme a lui c’era Pino Martinez, che dell’associazione è parte attiva da sempre. Dopo il 15 settembre del 1993 loro sono andati avanti, non si sono arresi alla violenza mafiosa.
“L’impegno del comitato non si è fermato. In questi diciassette anni non abbiamo smesso l’opera iniziata con padre Puglisi – esordisce Martinez -. Adesso, ad esempio, stiamo continuando la battaglia per il pieno recupero e l’utilizzo dei locali di via Hazon 18, per anni lasciati in amministrazione giudiziaria e ricettacolo del degrado; sono stati ristrutturati e lì dovrebbe nascere un distaccamento della polizia municipale. Sempre in quell’edificio che abbiamo strappato all’incuria, abbiamo chiesto l’utilizzo di due stanze, per avere una nostra sede, un nostro presidio. Fino ad ora il centro operativo del comitato sono state le case di quella trentina di persone che ne sono l’anima”.
Come avete superato lo shock seguito all’uccisione di padre Puglisi?
“Abbiamo combattuto la paura. Siamo andati avanti nonostante tutto. Il pericolo che il timore delle ripercussioni mafiose avesse la meglio esisteva, ma non ha vinto”.
Cosa ricorda di quell’uomo?
“Il suo grande carisma. La fiducia reciproca è cresciuta man mano. L’abbiamo chiamato in causa dopo le prime battaglie che il comitato ha fatto per il recupero di Brancaccio, e una volta iniziato il percorso assieme ci siamo resi conto della sua grandezza”.
Un lavoro che, per fortuna, non è andato sprecato.
“Assolutamente no. È ancora un orgoglio potere dire che la scuola media di Brancaccio, intitolata a Padre Puglisi, è nata con il nostro contributo”.
Di quale eredità si sente ancora testimone?
“La grande forza spirituale di padre Pino. Le sue parole sono quelle da cui ripartire. Questo è ciò che cerco di fare con la mia testimonianza, quando parlo ai giovani. Perché non tutto è andato come avrebbe dovuto”.
In che senso?
“La rivoluzione non c’è stata perché non si è compiuto un cambiamento culturale. Non basta l’impegno dello Stato e delle forze dell’ordine, serve che qualcosa cambi nella testa della gente”.
E se questo non è avvenuto, cosa non ha funzionato?
“La colpa è di alcuni steccati che man mano nel tempo sono stati costruiti. È colpa della politica, è colpa di certo associazionismo. Ognuno con i propri interessi. Mi ricordo che prima non importava da dove venivi, potevi essere democristiano, missino o comunista, l’importante era combattere il nemico mafioso”.
Il suo, in particolare, è stato ed è l’impegno di un cattolico.
“Sì. E devo dire che ci vuole una Chiesa nuova. C’è bisogno di dire chiaramente che i criminali sono peccatori, che è gente che sbaglia. Nelle omelie che sento, però, queste parole sono ripetute troppo poco”.
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15 Settembre 2010, 15:59