20 Aprile 2016, 09:45
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ETNA – Limpidezza, colore, finezza, complessità. Ed ancora, struttura, armonia, qualità. Tutti intenti, con il proprio calice in mano, a degustare i prodotti di quella mezzaluna nera dell’Etna dove si produce uno dei vini contemporanei più apprezzati a livello internazionale. Una volta conclusosi il Vinitaly, tutti i produttori dell’Etna si danno convegno, il lunedì seguente, al tradizionale appuntamento di Passopisciaro “Contrade dell’Etna”. Giunto alla sua nona edizione, quest’anno Contrade ha registrato l’ennesimo successo sancito dalla qualità dei suoi vini e anche dai numeri assolutamente in crescita. Quasi 100 produttori di vino. Quasi due milioni di bottiglie prodotte nello scorso 2015 e un settore in costante ascesa. “Si è passati dai 700 ettari nel 2009 ai quasi 850 ettari di terreni rivendicati come DOC Etna”, spiega Francesco Cambria, organizzatore e fondatore delle cantine Cottanera. “Questo evento-degustazione è la premier d’eccellenza che racconta la vendemmia e le produzioni di ogni cantina piccola o grande che sia, presente sull’Etna. Un modo per far assaggiare i propri vini e i nuovi campioni del 2015, non solo alla stampa ma soprattutto agli estimatori del vino del nostro vulcano”.
L’atmosfera che si respira, nella corte delle cantine Graci sede della premiér, è quella della famiglia allargata. Amici vecchi e nuovi che s’incontrano e wine lovers più o meno esperti che prendono appunti su un taccuino o che cercano di capirne di più di un vino che affascina e conquista i sensi. Nel piccolo mondo dell’Etna si ha l’idea di far parte tutti di una grande famiglia; di appartenere ad una comunità di destino che da qualche anno è riuscita a catalizzare i riflettori internazionali del mondo del vino. L’Etna come la Borgogna, forse un parallelismo azzardato che però strappa un sorriso, velato d’orgoglio, a tutti i produttori cui viene rivolto tale accostamento. “Personalmente – risponde Davide Bentivegna, produttore del vino “naturale” Etnella -preferiamo di parlare di territorio unico. Piuttosto di fare parallelismi inediti è meglio parlare di ritorno alle tradizioni e rispetto dell’armonia naturale del terroir. Tornare alle conoscenze antiche che permettevano di produrre un vino non costruito, con l’aggiunta di solfiti o affinamenti in botti di legno pregiato. MI piace parlare piuttosto di ecosistema dove anche la coccinella o la lucertola hanno un valore essenziale per prevenire determinate alterazioni della vigna e dove i terreni sabbiosi di origine vulcanica vengono studiati dal punto di vista anche geologico affinché si possano apprezzare, nel vino che degustiamo, le stratificazioni e le composizioni uniche che regala al vino, questa mezzaluna di terra vulcanica”.
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20 Aprile 2016, 09:45