17 Luglio 2018, 06:04
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PALERMO – Ci fu una lite poco tempo prima che Giuseppe Di Giacomo venisse assassinato. Il boss di Palermo Centro, famiglia del mandamento mafioso di Porta Nuova, era arrivato allo scontro fisico con Giuseppe Corona, il personaggio chiave dell’inchiesta della Procura di Palermo e del Nucleo di polizia valutaria della finanza che ieri ha portato all’arresto di 24 persone.
Il racconto della lite, e non solo, fa parte dell’indagine sul delitto della Zisa assieme ad alcune, importanti ma non riscontrate, dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Un fascicolo pieno di spunti, ma quello di Di Giacomo resta un omicidio irrisolto.
Il 12 marzo 2014 i killer, a bordo di uno scooter, affiancarono la Smart di Di Giacomo, fratello del killer ergastolano Giovanni, in via Eugenio l’Emiro. Lo crivellarono di colpi alle sette di sera, in una strada affollata di gente che fa la spesa.
Il primo a parlare del delitto è stato Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta divenuto collaboratore di giustizia: “L’omicidio di Giuseppe Di Giacomo è legato al fatto che questi aveva offeso un compare di Tommaso Lo Presti inteso il pacchione, ossia Giuseppe Corona. Di Giacomo voleva far chiudere la tabaccheria di alcuni parenti del cognato di Corona, motivo per cui quest’ultimo sì era lamentato col Lo Presti, con il quale era legato da un rapporto di profondo rispetto ed amicizia”.
Galatolo, il verbale è del 2014, aggiunse di averlo saputo da Vincenzo Graziano, che a sua volta aveva ricevuto la confidenza da “tale Pauluzzo cugino di Revuccio e Tommaso Di Giovanni”. Pauluzzu gli avrebbe detto che “Di Giacomo aveva offeso Tommaso Lo Presti che voleva impadronirsi del mandamento e per questo fu ucciso”.
Due anni dopo, nel 2016, un altro pentito – Giuseppe Tantillo del Borgo Vecchio – riferì che “Corona aveva avuto un battibecco con Di Giacomo Giuseppe. Di Giacomo mi raccontò di aver avuto un litigio (con Corona, ndr) qualche mese prima della sua morte, perché Corona si era intromesso più volte in questioni di messa a posto e così Di Giacomo gli aveva intimato che si doveva fare i fatti suoi. Nell’occasione Di Giacomo diede uno spintone a Corona dicendo che doveva chiudersi dentro casa e non occuparsi di cose di mafia. Anche a noi Di Giacomo disse che se Corona si fosse presentato al Borgo per intromettersi in cose del genere, non dovevamo dargli conto. Corona si atteggia di avere avuto una forte amicizia con Gregorio Di Giovanni, fratello di Tommaso (detto Masino) che attualmente gestisce la famiglia di Porta Nuova”.
In un successivo interrogatorio del gennaio 2017 Tantillo ricordò un altro particolare: “Dopo l’omicidio di Di Giacomo, Corona ci è venuto a dire che ci voleva parlare Tommaso Lo Presti e che voleva accompagnare mio fratello (Domenico Tantillo, ndr) con il proprio scooter; questa cosa non ci piacque e ci sembrò strana: Andai allora a cercare Paolo Calcagno (in carcere con l’accusa di essere il reggente del mandamento di Porta Nuova), ma trovai Salvatore David a cui spiegai questa vicenda e lui ci disse di stare tranquilli e che loro avrebbero cercato di capire. Corona ripassò il giorno dopo dicendo che non era più necessario andare da Lo Presti”.
Del possibile ruolo di Lo Presti nell’omicidio hanno parlato in tanti, per la prima volta, però, si scopre che nelle indagini fa capolino il nome di Corona. Uno “che camminava un po’ con suo cugino Tommaso (Lo Presti, ndr), lo ha definito Galatolo, Uno che si sarebbe intromesso, probabilmente forte dell’appoggio del parente, nella gestione delle estorsioni.
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17 Luglio 2018, 06:04