09 Gennaio 2016, 11:45
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CATANIA – “Io rientro a Catania ogni fine settimana”. Non riesce a stare lontano dalla sua città Michele Corradino, magistrato catanese dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. All’Anac di Raffaele Cantone è arrivato nel 2014: un percorso “entusiasmante”- come lui stesso lo descrive. L’Authority ha un duplice ruolo: garantire trasparenza nell’operato della Pubblica Amministrazione e dall’altro vigilare gli appalti. Corradino passa in rassegna le varie aree dell’Anticorruzione, da quella normativa (di regolazionione del sistema) a quella di vigilanza, che poi da luogo alle istruttorie e alle inchieste. Ma Cantone ha introdotto la “vigilanza collaborativa”: un metodo “innovativo e moderno” che ha permesso di “salvare” molti grandi opere. “Si pensi ad Expo” – afferma Corradino. “Riguardo agli appalti più importanti o che si devono espletare in zone di mafia e camorra – spiega il magistrato – noi accompagnamo le amministrazioni in un percorso di legalità. I nostri funzionari si affiancano all’amministrazione e verificano che tutte le loro attività siano fatte legalmente”. A livello pratico la vigilanza non è più a posteriori, con il rischio di bloccare l’opera, ma durante le fasi della gara. Una procedura (voluta fortemente da Cantone) che ha ricevuto anche il plauso dell’Ocse, che con gradualità la suggerisce come “best practise” mondiale. L’Italia, insomma, fa scuola nella lotta alla corruzione.
L’intervento dell’Autorithy può arrivare anche attraverso il Commissariamento. Il Cara di Mineo, centro d’accoglienza dei migranti, ne è un esempio. Corradino vuole precisare una cosa: “Non viene commissariata l’impresa ma la gara d’appalto. Quando ci si rende conto che c’è una situazione criminale o di gravi irregolarità viene affidata la gestione dell’appalto a un commissario che accantona gli utili. Dopo si verificherà se gli utili devono essere restituiti all’impresa o confiscati. Quello che è importante è che l’opera va avanti. Perchè fino a questo momento – afferma Corradino – avevamo visto che l’intervento della magistratura amministrativa e penale sospendeva l’opera”. L’effetto era duplice: economico e sociale. Economico per la grande massa di incompiute, di cui la provincia di Catania ne è un esempio, e sociale perchè una vota bloccata l’opera si licenziavano le maestranze. E questo purtroppo provocava “disaffezione all’intervento dello Stato”. La percezione, infatti, era “alterata” – secondo Corradino.
“Fondamentale per combattere la corruzione una svolta culturale. E questa svolta culturale può avvenire su diversi profili” – spiega il magistrato che fornisce anche gli strumenti per diventare anche noi cittadini “sentinelle della legalità”, così come ci chiede l’Ocse. Partiamo dai “big data”: “tutte le amministrazioni pubbliche sono obbligate a mettere sul web tutti i data relativi alle gare d’appalto e la cosa più importante è che i dati devono essere inseriti in modo confrontabile. Cioè tutte le amministrazioni devono utilizzare lo stesso linguaggio che si chiama XML”. Questo significa che possiamo controllare, in modo comparativo, come un’amministrazione gestisce un appalto (e non solo) e quanto spende. A questo punto possiamo confrontare le spese di un comune, ma si può anche verificare se in una certa area vince sempre la stessa impresa. “I cittadini devono controllare e chiedere conto ai propri governanti” – incalza Corradino. Per una concreto passaggio culturale però – secondo il magistrato – si deve toccare qualcosa di molto più profondo e radicato. “C’è l’idea che il corrotto e il corruttore sono soggetti furbi e vincenti. E’ assolutamente necessario invertire questo modello culturale: bisogna far comprendere che chi corrompe e si fa corrompere ruba a noi. Manca – conclude – questa percezione della corruzione come danno a tutti”.
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09 Gennaio 2016, 11:45