03 Gennaio 2017, 19:06
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PALERMO – E sono cinque. Da record. La Procura di Catania chiede per la quinta volta l’archiviazione dell’inchiesta a carico del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella e di altre tre persone. Chissà se l’ulteriore approfondimento investigativo convincerà o meno il giudice per le indagini preliminari Nunzio Sarpietro che finora non ha mostrato alcuna intenzione di chiudere il caso, ordinando nuovi accertamenti. L’ultima volta è accaduto lo scorso febbraio, quando dall’inchiesta era uscito il professore Giuseppe Barone. La sua archiviazione era legata all’invito ad approfondire le posizioni, oltre che di Pitruzzella, anche di Giuseppe Di Gesu, Giuseppe Petralia e Carlo Comandè.
Al centro dell’indagine un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari nell’ambito di un lodo arbitrale del 2007 tra l’Università del capoluogo etneo e il “Consorzio ennese universitario”. L’Ateneo di Catania sosteneva di vantare un credito di 25 milioni di euro e fece ricorso a un lodo arbitrale: il collegio deliberò un risarcimento simbolico di 100 mila euro. A votare a favore furono Pitruzzella, arbitro scelto dal Consorzio, i cui corsi di laurea sarebbero poi confluiti nella Kore, il presidente del collegio e allora avvocato dello Stato Giuseppe Di Gesu, e il terzo arbitro scelto dall’Università di Catania, Giuseppe Barone. Qualche tempo dopo alla Procura di Catania arrivò un esposto nel quale si segnalava che la Kore aveva dato alla figlia di Di Gesu un importante incarico come docente. Un’indagine complicata a cominciare proprio dall’esposto “apparentemente sottoscritto dal prof Recca Antonino”. Recca, all’epoca rettore a Catania, ha disconosciuto la firma: non fu lui a scrivere ai magistrati.
Nell’inchiesta sono coinvolti anche l’allora presidente del Consorzio ennese Petralia e l’avvocato Comandè che nel lodo arbitrale rappresentava la Kore. All’inizio di gennaio 2016 il pm Valentina Grosso concluse che il lodo si era svolto correttamente e chiese l’archiviazione. Alla richiesta si associarono l’avvocato di Pitruzzella, Nino Caleca, e di Comandè, Marcello Montalbano. Il presidente dei Gip Sarpietro, invece, sottolineò che Barone aveva “espresso riserve” sul lodo e così archiviò la posizione del docente, obbligando il pm a proseguire le indagini. Parlava di “circostanze poco chiare, foriere di dubbi in merito al regolare svolgimento del lodo”, sollevando l’ipotesi che un patto corruttivo ne avesse orientato il risultato.
Le attenzioni si sono concentrate anche su una consistente parcella pagata dal Consorzio ennese all’avvocato Comandè che, però, carte alla mano, ha spiegato che si trattava degli onorari per una quindicina di cause e non per il solo lodo. Occhi puntati anche sugli incarichi assegnati dalla Kore alla figlia di Di Gesù che, però secondo il pm, ha ricevuto “compensi esigui” per “incarichi a tempo” e “non c’è prova che le docenze non siano state conferite legittimamente”. Infine, sempre secondo il pm, se davvero l’Università di Catania si fosse ritenuta vittima del lodo, per altro confermato dalla Corte d’appello, non avrebbe fatto una transazione con l’ateneo di Enna rinunciando a una parte dei crediti vantati.
Per tutte queste ragioni la Procura parla di “infondatezza della notizia di reato in quanto gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non appaiono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Da qui la quinta richiesta di archiviazione firmata dal pm Grosso con il visto dell’aggiunto Michelangelo Patanè e del procuratore Carmelo Zuccaro. La parola passa, ancora una volta, al giudice Sarpietro.
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03 Gennaio 2017, 19:06