13 Novembre 2015, 06:00
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PALERMO – “Anna Rosa Corsello? Pensavo fosse un dirigente inflessibile. Sono stato tentato di creare un governo del presidente e andare allo scontro con i partiti. Poi ho pensato alla Sicilia. Sono un autonomista vero. E anche per questo faccio rinascere il Megafono”. Nella stanza accanto la nuova giunta è riunita per varare i primi provvedimenti del quarto esecutivo di questa legislatura. Rosario Crocetta è ancora sorpreso. La notizia riguardante l’inchiesta su una delle burocrati più fidate del presidente è ancora troppo fresca.
La dottoressa Corsello le è stata molto vicina. Non aveva avuto sentore di niente?
“La Corsello a me appariva inflessibile. Certo, nella vicenda con Nelli mi ha messo in imbarazzo. Quanto a questa storia ogetto dell’inchiesta, non la conosco, sono costretto a fare una querela perché è stato speso il mio nome. Se la magistratura dopo un anno e mezzo d’indagine ha verificato che non me ne sono occupato, questo vuol dire qualcosa. Pensare che l’ho anche cercata al telefono perché non avevo capito che la vittima non era lei, ma ero io. Ho ringraziato il funzionario Giubilaro per avere fatto il suo dovere. Dopo questa storia farò un atto clamoroso”.
Quale?
“Chiederò a tutti coloro che ricevono segnalazione per mio conto di segnalarmelo immediatamente. D’altronde, non posiamo mettere le microspie o i braccialetti elettronici sui dirigenti”.
Basterà questo? Non c’è magari da rivedere il sistema delle assistenze tecniche alla Regione?
“Certamente. Cerchiamo di applicare in Sicilia schemi che funzionano altrove, ma è un errore. I privati del resto si sono fregati i biglietti dei beni culturali, o sono diventati una macchina clientelare infernale. In una delle prossime giunte farò un confronto politico su questa vicenda delle assistenze tecniche. Utilizzeremo il personale che abbiamo in esubero, questo sistema, così com’è, non può andare avanti”.
E perché non l’avete fatto prima?
“C’è stata una resistenza della burocrazia incredibile. I burocrati ti fanno arrivare all’ultimo giorno di scadenza del contratto. E a quel punto ti dicono: o proroghiamo o restiamo senza. La giunta non autorizzerà proroghe. Le proroghe saranno responsabilità dei dirigenti”.
Che segnale è, però, la conferma all’apice della burocrazia regionale di Patrizia Monterosso, segretario generale condannato dalla Corte dei conti a risarcire un danno erariale da oltre un milione di euro?
“Quella nei confronti di Patrizia Monterosso è una condanna che non prevede il dolo. Si tratta di un semplice errore. E io devo considerare come lei si comporta con me. Patrizia Monterosso è stata sempre leale. E del resto, una mozione di censura presentata all’Ars è stata anche respinta”.
Non iniziano però a diventare troppi i casi di fedelissimi che la deludono o l’attaccano? Penso ad esempio alle recenti accuse di Alfonso Cicero.
“Cicero l’ho difeso solo perché ha denunciato il malaffare. L’ho tutelato per questo. Ma non ho mai ritenuto che fosse la persona più capace per gestire l’Irsap”.
Davvero non crede di dove fare qualche mea culpa, almeno sulla scelta dei suoi più stretti collaboratori?
“No. Quello che è successo è inevitabile in un sistema in cui era difficile far comprendere il mio operato, del tutto diverso dal passato: io non ho mai chiamato, né segnalato nessuno, non ho mai chiesto assunzioni. Anzi, sono intervenuto in maniera molto dura in settori come quello della Formazione che negli anni precedenti era stato un bacino clientelare”.
Quando lo nominerà questo benedetto dodicesimo assessore?
“Io voglio essere chiaro, la politica può rivendicare ruoli, spazi, ma non mettere veti. Dieci deputati, quelli di Sicilia democratica e del Psi-Megafono propongono la Lantieri. Gli altri alleati non possono mettere un veto”.
Chi mette veti?
“Sicilia futura puntava al secondo assessorato. E poi aleggia Ala (il gruppo di Denis Verdini, ndr). Ma loro, come dice il nome, volano alto, io sono più terra terra. Il segretario del mio partito ha detto con chiarezza che non è una situazione condivisa”.
E allora chi spinge per questo ingresso di Ala?
“La spinta arriva da Roma. Cercano di entrare in giunta sotto le mentite spoglie di un tecnico. Ma si tratterebbe di un assessore che fa capo a un gruppo che in maggioranza non c’è. Un assessore deve essere politico e i cittadini devono poter ricondurre a quel partito le responsabilità del componente della giunta. Perché mai io dovrei dare copertura a un accordo sotterraneo deciso a Roma?”.
Come succede per Ncd?
“In quel caso il ‘padre’ di questa nomina è Area popolare. C’è quindi un referente dell’assessore”.
Adesso lei sembra convinto della svolta politica del governo. Ma non era da sempre contrario all’ingresso dei politici in giunta?
“All’inizio della legislatura le proposte politiche che mi furono avanzate non erano state filtrate dai partiti. E si trattava in molti casi di proposte irricevibili. I fatti mi hanno dato ragione. Il mio primo governo tecnico, comunque, nacque con la benedizione del Pd nazionale allora rappresentato da Bersani e Zoggia”.
Ma quel governo, che doveva dare il via alla rivoluzione, durò poco.
“Il primo rimpasto servì ad aprire ai partiti. Anche se una parte del Pd rimase fuori. Per poi rientare nel terzo governo dove gli assessori erano stati indicati direttamente dalle forze politiche. A quel punto io per la prima volta aprii all’ingresso in giunta dei deputati. Ma gli stessi esponenti dei partiti mi rimproverarono: ‘Ora come gestiamo la cosa?’”.
In che senso?
“Qualcuno voleva far passare l’idea che in giunta ci fossero solo dei tecnici, per poter addossare a me tutte le responsabilità del governo e giocare la propria partita politica. Credo che questa quarta giunta abbia consentito di compiere una azione di igiene politica. Adesso è chiaro quali parti politiche sono rappresentate in giunta…”.
A dire il vero, la sua maggioranza oggi è composta da diversi deputati che hanno più volte cambiato casacca.
“Effettivamente, anche la questione del dodicesimo assessore rivela dei problemi irrisolti nei partiti e tra i partiti. Ma se voglio utilizzare questi due anni che rimangono io devo avere una maggioranza in parlamento. Il problema di questa legislatura è che io sono uscito vincitore ma senza maggioranza. Con un parlamento più responsabile si sarebbe potuto avere un governo del presidente, magari lavorando a intese programmatiche che coinvolgessero anche le opposizioni. Ma mi sono trovato di fronte a opposizioni che non hanno voluto fare intese, tranne che sulle manovre finanziarie. Ma non bastano i bilanci, servono riforme profonde, anzitutto una profonda sburocratizzazione”.
La scelta di accogliere singoli deputati nella maggioranza non contraddice l’idea originaria della sua “rivoluzione”?
“Soprattutto negli ultimi mesi sono nati gruppi che avanzano un’Opa sul governo per avere un assessorato. Non era certamente questo che volevo. E io mi sono trovato attaccato dalle opposizioni e dalla maggioranza. Eppure alcune misure di risparmio siamo riusciti a farle passare. I contratti dei regionali parametrati ai nazionali, le forbici sulle pensioni, il reddito massimo dei dirigenti, il doppio voto di genere, ma si doveva fare molto di più. E si deve fare”.
Ci sono le condizioni per farlo?
“Il problema alla base è la questione dell’Autonomia. In tanti hanno sperato nel commissariamento della Regione, nelle mie dimissioni o di una sfiducia nei miei confronti. Siamo in una fase storica in cui è partito un attacco alla Regioni. Ma l’Autonomia siciliana ha un valore anche storico e culturale che sarebbe un errore cancellare”.
Magari dell’Autonomia la classe politica ha anche abusato…
“Certamente, ma è anche vero che lo Stato non l’ha rispettata. Adesso ci troviamo in una fase di rinegoziazione, soprattutto sui conti. Noi in questi anni abbiamo tagliato oltre un miliardo e mezzo di spese. Qualcuno deve spiegarmi come è possibile che il dificit sia ancora di 1,4 miliardi di euro. Evidentemente è accaduto qualcosa: in questi tre anni lo Stato ha tagliato a tutte le Regioni i finanziamenti, a prescindere dal fatto che abbiano o meno ottenuto risparmi”.
Il deficit però rimane. Come farete a uscirne?
“Io non ho mai creduto che non si riesca a colmare questo deficit. È chiaro però che non accetterò mai che Roma mi chieda di licenziare cinquantamila persone. È evidente però che su questa vicenda dei conti si stia giocando anche una partita politica. Io voglio un accordo strutturale che assicuri le risorse anche per i prossimi anni. Dirò no al massacro sociale”.
Perché parla di una partita politica?
“Qualcuno diceva che da Roma si volevano le elezioni anticipate. Eci sono stati altri tentativi di far fuori il presidente, come nel caso della presunta intercettazione de l’Espresso. Non escludo che qualcuno, un po’ in tutti i partiti, abbia provato a destabilizzare questo governo”.
Adesso però, dicevamo, il governo è frutto dell’accordo con i partiti. Lei voleva davvero questo rimpasto?
“Stiamo vivendo una fase particolare. Dovevo scegliere: fare un accordo politico o andare allo scontro creando un governo del presidente e arrivare alle elezioni anticipate. Io ero pronto e credo che personalmente avrei ottenuto dei vantaggi politici da questa scelta. Ma come potevo portare la Sicilia alle elezioni anticipate, quando c’era da ripianare un buco di quasi un miliardo e mezzo?
Ha avuto la sensazione che qualcuno, da Roma, voglia far passare il messaggio che a salvare la Sicilia sia Palazzo Chigi e non Palazzo d’Orleans?
“Certamente il merito sarà anche di Roma. Ed è anche vero che in passato gli sprechi sono stati tanti. Ma anche noi in Sicilia abbiamo fatto molto per recuperare terreno”.
Lei parla di autonomia, ma non rimpiange la rinuncia ai contenziosi che la fa sedere al tavolo delle trattative con Roma con una pistola scarica?
“Quell’accordo non è definitivo. Ma grazie a quello abbiamo chiuso due bilanci. Adesso Roma però deve riconoscere che la Sicilia è stata penalizzata. Io sono un vero autonomista. E sabato, non a caso, ci sarà l’assemblea costitutente del Megafono, a Catania”.
Il Megafono? Ma non era solo un’idea? E non l’hanno abbandonata anche i deputati, passati al Partito socialista?
“Il Megafono non è fatto dai deputati, ma dalla base. E anche il segretario regionale del Pd Raciti ha capito che il Megafono è il più leale tra gli alleati. Il Movimento tra l’altro ha uno statuto molto simile al movimento Big-Bang di Renzi. Perché Renzi può e io no?”.
Il segretario regionale del Pd non era quello che le aveva accolto con una frase ironica: “Raciti, chi?”.
“In quei giorni ancora non ci conoscevamo. Per me era solo un burocrate di partito, mentre per lui io ero solo una specie di anarchico. Poi ci siamo capiti”.
Lei oggi appare soddisfatto. Ma non crede che 42 assessori in appena tre anni sia una chiara patologia? Il sintomo di un fallimento?
“Credo che i rimpasti siano legati a una legge elettorale che rischia di non assegnare una maggioranza a un governatore eletto dal popolo. Ma adesso non pensiamoci più. I tentativi di mandarmi a casa sono falliti. È meglio iniziare a lavorare”.
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13 Novembre 2015, 06:00