Cronaca

“Corsi ‘fantasma’: processate l’onorevole Savona e gli altri”

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08 Dicembre 2020, 06:16

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PALERMO – Secondo la Procura della Repubblica, esisteva un “sistema Savona” per drenare le risorse della formazione professionale. Ed è per questo che il procuratore aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Vincenzo Amico e Andrea Zoppi hanno chiesto il rinvio a giudizio per l’onorevole Riccardo Savona e per altri cinque imputati. Sarebbero i protagonisti di una maxi truffa di circa 900 mila euro.

Il giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta ha fissato il processo al 24 febbraio prossimo per decidere se mandarli o meno sotto processo.

È Savona, deputato regionale di Forza Italia e presidente della Commissione Bilancio dell’Ars, l’uomo chiave dell’inchiesta dei finanzieri del Gruppo metropolitano di Palermo, secondo cui sarebbe stata organizzata un’associazione a delinquere per ottenere quasi 900 mila euro di finanziamenti europei per la formazione professionale.

Solo che, secondo l’accusa, i corsi erano fantasma, così come i costi sostenuti e giustificati con pezze d’appoggio contabili fasulle. I soldi sarebbero finiti altrove, spesi anche per alimentare la macchina del consenso elettorale di Savona.

I pm contestano a Savona di “avere approfittato del ruolo politico all’interno dell’Ars, individuando i progetti ai quali partecipare e i soggetti che ne avrebbero preso parte, scelti fra i suoi potenziali elettori”.

La richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche la moglie dell’onorevole, Maria Cristina Bertazzo, la figlia Simona, Giuseppe Castronovo (legale rappresentante dell’associazione Prosam), Nicola Ingrassia (legale rappresentante della cooperativa Palermo 2000), Sergio Piscitello (legale rappresentante della coop La Fenice) e Michele Cimino. Quest’ultimo è stato un fidato collaboratore di Savona che ha aiutato gli investigatori.

Savona “sfruttando la propria posizione politica” sarebbe venuto a conoscenza in anticipo della pubblicazione dei bandi regionali per la formazione, predisponendo i progetti da fare ammettere al finanziamento”. La moglie e la figlia si sarebbero attivati per mettere a posto la documentazione necessaria per giustificare i costi sostenuti.

I finanzieri avrebbero scoperto che i finanziamenti pubblici sarebbero stati spesi in realtà per pagare “soggetti che a vario titolo gravitano occasionalmente o stabilmente nell’orbita di Savona”. Gente che collaborava con l’onorevole nella sua segreteria politica, nei Caf di Palermo, Castelbuono e Bagheria, o nei banchi alimentari “sponsorizzati” da Savona. Tutte attività che nulla avevano a che vedere con i corsi di formazione, pagate con soldi elargiti “in proporzione alla capacità elettorale” delle persone retribuite.

Alcuni corsisti hanno ammesso di avere frequentato le lezioni per meno ore del previsto mentre la parte pratica, ad esempio con gli stage negli alberghi, “è consistita in una mera prestazione lavorativa senza peraltro alcuna attività di accompagnamento nel percorso lavorativo né tutoraggio”. I corsisti non sono stati pagati del tutto, tanto che hanno avviato delle procedure di pignoramento verso le società.

Cimino è stato presidente dell’associazione Rises che nel 2015 dalla Regione ha ottenuto 226 mila euro per il progetto “Barocco siciliano”. È stato Cimino a confermare in un interrogatorio del 22 febbraio 2019 che ci sarebbe stata la regia del deputato regionale dietro una serie di società e progetti: “Tutte le decisioni venivano prese dal solo Savona in collaborazione con la moglie (Maria Cristina Bertazzo, ndr), poi traslavano le decisioni alla figlia (Simona Savona, ndr) che provvedeva ad emanare le direttive per l’esecuzione di quanto comunicatogli dai genitori”. Cimino ha è parlato di progetti che esistevano “solo sulla carta”.

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L’anno scorso nei confronti degli indagati fu disposto un sequestro di beni, in parte annullato dal Tribunale del Riesame.

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Per giustificare i costi e incassare i finanziamenti i Savona avrebbero utilizzato personale e consulenti che già lavoravano in altre società a loro riconducibili che però nulla avevano a che fare con i corsi di formazione”. L’importante, a giudicare dalle parole di Cimino, è che avessero soprattutto un requisito: “La scelta dei nominati da inserire nei progetti era anche in base a quanti voti avrebbero potuto garantire. Savona era consapevole della forza dei singoli soggetti che gli andavano a chiedere favori e lavoro. Peraltro lui talvolta andava a trovare alcuni di questi presso il loro quartiere per potersi accaparrare quanti più voti possibili”. Più era il peso elettorale e “maggiori erano le possibilità di trovare il suo nominativo in qualche progetto”.

L’inchiesta dei pm avrebbe svelato una falla enorme nei controlli da parte della Regione. Chi presentava un progetto e otteneva il via libera incassava un’anticipazione pari al 50 per cento del finanziamento complessivo. Poi, man mano che i corsi venivano espletati le società caricavano le spese sostenute in un programma elettronico chiamato “Caronte”.

Il punto è che quando suonava il campanello d’allarme il guaio era già fatto. Si poteva solo correre ai riparti, bloccando le richieste di erogazione non ancora liquidate.

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08 Dicembre 2020, 06:16

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