“Intascava soldi della Regione” | Dirigenti e funzionari condannati

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15 Maggio 2014, 17:09

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PALERMO – Erano stati per primi i pubblici ministeri contabili a scoprire che i soldi della Regione finivano nelle tasche di un funzionario. Inevitabile che fosse la Corte dei conti ad emettere la prima condanna. Così è stato.

Il collegio presieduto da Luciana Savagnone ha accolto la ricostruzione del vice procuratore Giancluca Albo e ha condannato l’ex funzionario regionale Emanuele Currao e Concetta Cimino, dirigente in pensione, a sborsare complessivamente 242 mila euro. Amalia Princiotta Cariddi ne dovrà pagare 41 mila. Ammonta a otto mila euro, infine, il danno erariale contestato ad Antonino Di Prima. Questi ultimi due sono funzionari della Ragioneria e vengono chiamati in causa per l’omesso controllo delle operazioni illecite. Hanno provato a difendersi sostenendo che la dolosità del comportamento di Currao avrebbe fatto venire meno la loro colpa.

Sulla scorta delle indagini delegate dalla Procura contabile al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo è partita anche l’inchiesta penale che il 6 maggio scorso è sfociata in un processo. Anche quella della Procura della Repubblica è stata un’inchiesta lampo. In pochi mesi il giudice per l’udienza preliminare Marina Petruzzella ha rinviato a giudizio diciassette persone. A metà novembre le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dal sostituto Alessandro Picchi, svelarono che i soldi della Regione, invece di essere utilizzati per pagare i fornitori, sarebbero finiti sul conto corrente del funzionario infedele. Lo scandalo travolse l’assessorato regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale. L’inchiesta nasceva dalla denuncia dell’ex capo del dipartimento Formazione, Ludovico Albert, e del dirigente Marcello Maisano.

A Emanuele Currao, poi trasferito, sarebbe bastato cambiare le cifre dell’Iban per dirottare migliaia di euro sul proprio conto corrente. Il tutto grazie alla compiacenza, sostiene l’accusa, della Cimino. A lei spettava il compito di vigilare. Ed invece Currao entrava nel sistema informatico per disporre i mandati di pagamento con la password della dirigente.

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La Cimino si è difesa sostenendo di essersi attivata per segnalare alcune situazioni anomale e per recuperare i soldi finiti sul conto corrente sbagliato. Eppure nel corso dell’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari era stato proprio Currao ad ammettere di essere l’artefice della truffa e a sollevare pesanti ombre sulla gestione della Cimino. Specie nella vicenda degli straordinari. Il funzionario descrisse l’esistenza di una cerchia ristretta di dipendenti ai quali la dirigente avrebbe riservato un trattamento di favore.

Nelle carte dell’inchiesta è finita anche la storia di un viaggio in Sud America pagato due volte dalla Regione. La prima attraverso un accredito lecito, l’altra con un decreto ingiuntivo, richiesto dallo stesso Currao e il cui importo – 42 mila euro – sarebbe stato girato sul conto corrente del funzionario. Nel 2009 la Regione impegnò i soldi per pagare la trasferta di alcuni funzionari, compreso Currao, in Costa Rica e Argentina. Il viaggio era finanziato dall’Unione europea nell’ambito del progetto Pacef sulla “valorizzazione della donna nel Sud America”. Secondo gli investigatori il viaggio sarebbe stato pagato due volte.

Tra i beneficiari dei fondi pubblici “distratti” da Currao ci sarebbe anche l’imprenditore Mario Avara che aveva costruito una casa in legno per Currao a Sciacca, finita sotto sequestro. Avara aveva detto di essere all’oscuro della truffa. Si era limitato a incassare i soldi che Currao gli doveva per il lavoro. Un capitolo dell’inchiesta penale coinvolge una raffica di dipendenti che avrebbero intascato soldi non dovuti per straordinari inesistenti o gonfiati.

Nel frattempo la ricostruzione dei finanzieri ha retto al vaglio della Corte dei conti. Ed è arrivata la condanna, in promo grado, a risarcire il danno erariale provocato. È una sentenza che attribuisce responsabilità anche alla Ragioneria che non avrebbe vigilato per evitare la distrazione dei fondi. “Nel comparto regionale in esame vi era una pratica illegale diffusa nella predisposizione e liquidazione dei mandati – si legge nella motivazione -, una falsificazione sistematica e ripetuta dei titoli di spesa, sia cartacei che informatici, che si ricorreva alla duplicazione degli stessi mandati al fine di creare coperture a precedenti illiceità, e tutto ciò avveniva nella totale inerzia e noncuranza dei funzionari e dipendenti addetti al servizio”.

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15 Maggio 2014, 17:09

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