29 Settembre 2019, 11:57
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Tempo inquieto, questo nostro. Tempo incerto, e non soltanto per le puntuali turbolenze metereologiche, che ci invitano a tenere l’ombrello a portata di mano. Tempo problematico, a seguito anche del recente pronunciamento della Consulta a favore della depenalizzazione dell’assistenza al suicidio per i malati in fase terminale che ne facessero richiesta, sia pure a ben precise condizioni.
Poco cambia che tale passaggio fosse ampiamente atteso, a partire dal fallimento del lavoro parlamentare della XII Commissione Affari Sociali, nonostante una poderosa attività di audizioni e di confronti al limite dello scontro. Perché un lavoro c’è stato, è bene chiarirlo; il fatto che non ne sia scaturita alcuna proposta di legge, nessun disegno, nessuna chiara posizione, non si deve soltanto a un’inerzia, vera o presunta, di chi è chiamato a decidere e legiferare, ma anche all’obiettiva difficoltà di accordare posizioni difficilmente conciliabili. Nessuna clemenza, dunque; nessuna attenuante per i politici di ogni fronte, se non quella di maneggiare una materia particolarmente liquida e incandescente.
Poco cambia anche che, entro canoni strettamente giuridici che non ci appartengono e che non padroneggiamo, il pronunciamento finale della Consulta si pone nei termini della “depenalizzazione” e non di una vera e propria “liberalizzazione”, ammettendo, cioè, che il reato rimane tuttavia reato, anche se alleggerito di eventuali condanne. Cambia davvero poco, perché quest’operazione sa di cavillo giuridico, più che di una vera presa di posizione sulla materia.
Appare rilevante, invece, che questo evento sia stato salutato in termini simmetrici ed opposti dai due principali versanti che si fronteggiano: quello dei fautori della liberalizzazione in autonomia delle scelte di fine vita e quello dei suoi oppositori. La simmetria sta nel fatto che, su entrambi i fronti, il pronunciamento della Consulta, più che rivolto alla regolamentazione di spinose situazioni attuali – le sofferenze indicibili di DJ Fabo trovano, per fortuna, rarissimi casi simili, ad oggi – sembra, piuttosto, l’anticamera di ciò che potrà venire da qui in avanti.
Il fronte “laico” che auspica aperture sempre maggiori in senso liberale, come l’eutanasia, non riconosce altre paternità se non quelle dell’individuo stesso sulle scelte che lo riguardano. La vita è un bene “disponibile”, nelle mani incontrastabili di chi ne è titolare; nessun altro, a nessun titolo, può sindacare sulle scelte di mantenerla, di sostenerla e, in precise circostanze, di sopprimerla. Sia pure in una visione che la consideri un “dono”, fatto da non si sa chi, né a che titolo, nulla cambia sulla possibilità che si possa gestirla, manipolarla, trattenerla o rifiutarla in piena autonomia, proprio come si fa con qualunque altro dono.
L’altro fronte è quello definito, genericamente e, per certi aspetti, impropriamente, “pro-life”. Impropriamente perché, secondo l’ottica di molti ambienti religiosi, non solo quelli della Chiesa Cattolica, il valore pur grandissimo della vita umana, considerata nei suoi termini strettamente biologici, non è il bene supremo. Uno spirito autenticamente di fede proietta l’uomo in una visione più ampia, in uno sfondo di “Vita Eterna”, dentro il quale la mera sopravvivenza fisica s’inscrive, ma non ne rappresenta la manifestazione più elevata. Non si spiegherebbero altrimenti scelte come il martirio, il sacrificio della propria vita in vista di beni superiori, o di un Bene Supremo, che la Chiesa Cattolica riconosce e venera in molti Santi. Tale versante, quindi – è bene precisarlo – non lotta per il mantenimento tout court della mera sopravvivenza fisica, ma per il suo rispetto e, nei limiti dell’umanamente sostenibile, per il suo dignitoso mantenimento.
La “simmetria” cui si accennava prima sta nel fatto , dunque, che da entrambi i versanti ci si aspetta che a partire da questo autorevole pronunciamento, passaggio “epocale” per certi versi, si possa andare avanti, nei tempi e nei modi che la nostra cultura e la nostra società vorrà consentire, in una direzione auspicata dai primi e temuta dai secondi.
E, auspicata o temuta, tale progressione non appare certo lontana dalla realtà: in altri paesi europei, come l’Olanda ad esempio, la liberalizzazione dell’eutanasia ha spianato la strada all’attuale discussione sulla sua possibile estensione anche ai minori. E se i primi, quelli del fronte “laico”, vedranno in questa progressione la coerenza di scelte conseguenziali, volte al raggiungimento di spazi sempre più ampi di libertà, i secondi, quelli della “sacralità della vita”, già intravedono la pericolosità di un “pendio scivoloso”, come lo sciogliersi di un ghiacciaio alpino considerato sempiterno e incorruttibile.
Ognuno di noi è dunque chiamato a capire, discernere e decidere; nessuno può chiamarsi fuori, nessuno può pensare di affrancarsi dagli attuali dilemmi di coscienza. Può forse sembrare increscioso e doloroso interrogarsi, nel profondo, su questi temi, ma è doveroso.
Nonostante in prima linea siano le competenze specifiche, cliniche e giuridiche, ad essere chiamate al discernimento e all’elaborazione delle scelte, tanto nel singolo caso quanto su scala più ampia, è la coscienza civile nella sua accezione più estesa ad essere coinvolta, in realtà. Noi tutti.
Lo è già adesso, in occasioni come questa; lo sarà sempre di più domani, quando si tratterà di pronunciarsi secondo altre modalità della partecipazione civile; su temi come l’aborto e la fecondazione artificiale sono stati celebrati referendum, in passato.
Nessuno si chiami fuori, né si lasci andare a posizioni superficiali, banalizzanti o liquidatorie, del tipo “non sia mai, Dio; speriamo mai!”; nessuno dia spazio alle facili emozioni, come “bisogna trovarvisi, per capire e decidere”, perché non basta. Non è più questo tempo, forse non lo è stato mai. Di certo non lo è adesso, che abbiamo il compito di affrontare certe turbolenze della coscienza per come meritano, secondo una partecipazione civile e solidale, con ponderatezza, responsabilmente, consapevolmente.
Purtroppo questi non sono temporali stagionali, il solo ombrello non basta. Piuttosto, sta rapidamente cambiando il tempo metereologico della nostra coscienza, interrogandoci con insistenza. E noi abbiamo il compito di adeguarci anche a questi, di cambiamenti climatici: anche per questi si ha la maledetta sensazione che siano più veloci del previsto.
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29 Settembre 2019, 11:57