Cronaca

Cosa Nostra, i tradimenti, l’onore: in Cassazione il caso Alleruzzo

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08 Gennaio 2025, 04:59

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PATERNÒ (CATANIA) – La famiglia di un boss, i tradimenti, li considera macchie da lavare con il sangue. Quel concetto deviante di rispettabilità, tanto ostentato quanto frutto di una gigantesca mistificazione – che li induce ad appellarsi, tra loro, con il titolo di sedicenti uomini “d’onore” – pesa come un macigno, pure sui loro affetti più cari.

È questo l’humus in cui sarebbe maturato un vero e proprio caso di femminicidio. Una sorta di delitto d’onore trasversale, in cui la vittima, Nunzia Alleruzzo, nel 1995 sarebbe stata assassinata dal fratello Alessandro, figlio del defunto boss Giusesppe. Il movente? Avrebbe tradito il marito.

Il movente

Non si saprà mai se quegli ipotetici tradimenti, poi, fossero reali o frutto dei “mascariamenti” tipici dell’entroterra siculo. Sta di fatto che per il fratello, evidentemente, era così. Lui avrebbe confessato ad alcuni uomini del clan e due pentiti ne hanno parlato agli inquirenti di averla uccisa a colpi di pistola. Ora il processo, venerdì prossimo, approderà  in Cassazione.

Per l’assassinio della sorella, Alleruzzo è stato condannato all’ergastolo. Ma ora si va a Roma. I giudici saranno chiamati a pronunciarsi sul ricorso dei suoi avvocati. La sentenza di primo grado risale al 14 novembre 2022, ben 27 anni dopo l’omicidio. La vittima sparì nel nulla il 30 maggio 1995.

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Il rinvenimento del cadavere

Il cadavere fu rinvenuto dai carabinieri dopo alcune segnalazioni anonime il 25 marzo 1998: l’assassino lo gettò in un pozzo. Stando ai resoconti di mafia, un cugino di Alessandro Alleruzzo, a sua volta boss, avrebbe letteralmente ordinato all’assassino di far trovare la vittima, per consentire di darle una sepoltura.

Oltre ai resoconti dei collaboratori di giustizia, va detto, c’è anche l’intercettazione di uno degli ipotetici amanti di Nunzia, che in carcere parla con un esponente di spicco di Cosa Nostra e accusa l’imputato di aver fatto uccidere la sorella.

L’accusa

C’era infine la parola innocente del figlioletto della vittima, che allora aveva solo 5 anni, il quale disse di aver visto uscire la mamma con “zio Alessandro”. L’imputato era l’ultimo, insomma, ad averla vista viva. Le tesi dei collaboratori di giustizia hanno chiuso il cerchio.

Le cronache, ad ogni modo, ricostruiscono fette di verità. Al momento per Alessandro vige ancora la presunzione di non colpevolezza. Venerdì potrebbe essere scritta la parola fine al processo.

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08 Gennaio 2025, 04:59

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