21 Maggio 2009, 15:03
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Oggi li chiamano “gli eroi della stazione”, vengono ricevuti dalle autorità cittadine e ricevono medaglie e attestati di riconoscimento. Eppure forse prima di quella mattina che li ha resi “famosi”, lo scorso 11 maggio quando hanno bloccato alla stazione un uomo – Fabio Conti Tozzo – che prendeva a martellate una coppia di coniugi, Johnpaul Boy e Kennedy Anator erano due immigrati come tanti. Due nigeriani qualsiasi che si possono incontrare in giro a Palermo alla ricerca di un lavoro, uno qualunque, per lasciarsi alle spalle un passato duro e doloroso come quello di chi è costretto ad abbandonare per fame, guerra o violenza il proprio Paese. Quando raccontano il loro gesto di quella mattina alla stazione lo fanno con molta naturalezza, un gesto immediato in aiuto e soccorso a chi in quel momento si trovava in pericolo. “Stavamo comprando il biglietto dell’autobus alla stazione – dice Kennedy aiutato dal mediatore culturale Souliman del centro Speranza e Carità del missionario laico Biagio Conte che li ospita da quando sono a Palermo, e che fa anche da interprete – a un certo punto abbiamo sentito delle urla e abbiamo visto un uomo che colpiva un signore con un martello e una donna (la moglie, ndr, l’uomo poi è morto) che cercava di fermarlo. Subito siamo intervenuti e lo abbiamo bloccato”. Tutto questo mentre altre persone, magari, stavano lì a guardare e invece i due immigrati, senza permesso di soggiorno e che avrebbero potuto far finta di non accorgersi di niente e girarsi dall’altro lato non ci hanno pensato su due volte e sono intervenuti. Ma forse nessuno più di loro può avere ancora forte lo spirito di solidarietà nei confronti di chi si trova in pericolo. Sentimento che diventa visibile negli occhi lucidi di entrambi quando parlano di chi non ce l’ha fatta ad arrivare in Sicilia, morto anche prima di attraversare il Mediterraneo. “Molti di quelli che hanno viaggiato con me sono morti nel deserto, ci siamo stati quindici giorni, dopo essere passati dal Niger una volta usciti dalla Nigeria. Da lì, dal deserto, siamo arrivati in Libia e poi con un barcone a Trapani a Marsala. Oggi quando vedo le immagini di chi cerca di arrivare qui come ho fatto io provo molta pietà”, dice Johnpaul. “Già molta pietà”, sussurra Kennedy con un filo di voce , gli occhi bassi mentre si tocca il petto . Ed è stato nel centro di accoglienza di immigrati che Kennedy e Johnpaul si sono conosciuti. Nessun dettaglio però sul perché hanno lasciato il loro paese. “Abbiamo raccontato tutto alla Commissione quando ci hanno chiamato per decidere della nostra richiesta di asilo politico”, dicono entrambi. “Il mio è stato un colloquio molto veloce”, dice Kennedy .” Il mio invece è durato abbastanza – interviene Johnpaul – mi hanno fatto molte domande”. Ora grazie al loro gesto hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di giustizia che gli consente di restare per tutta la durata del processo. “Certo è già qualcosa – dice Dario, della comunità di Biagio Conte – ma la speranza è che possano ottenere un permesso più sostanzioso, che gli permetta di cercare lavoro”. Al momento le cose più concrete che hanno in mano sono gli incontri con le autorià cittadine; oggi ad esempio è stata la volta dell’assessore comunale alle Attività sociali e Pari opportunità, Stefano Santoro, che ha consegnato due targhe su cui si legge “con immensa gratitudine per il coraggio e l’altruismo mostrato”.
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21 Maggio 2009, 15:03