19 Giugno 2017, 20:30
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CATANIA – La sicilianità diventa un business su cui puntare per favorire la ripresa. Il Made in Sicily come volano dello sviluppo. E stavolta non si tratta della solita retorica, o di parole dette al vento, ma di vere eccellenze siciliane imprenditoriali che hanno dato vita a un nuovo corso, fatto di successi, ma anche di sacrifici, di determinazione e di coraggio. Storie di uomini e di donne siciliane le cui intuizioni si sono oggi tradotte in prodotti e servizi esportati nel mondo. E il compito di una società non può non essere anche quello di mettere in vetrina le sue eccellenze per infondere speranza a quanti oggi non vogliono dover lasciare la loro terra. Da qui il desiderio di promuovere un ciclo di seminari sul “Made in Sicily” inaugurato oggi nei locali della Camera di Commercio di Catania su iniziativa del corso di laurea in Economia Aziendale dell’Università di Catania e dall’ente camerale catanese nonché finalizzato a raccogliere le testimonianze di chi ce l’ha fatta.
Sullo sfondo di un territorio fortemente in crisi, cresce infatti il numero delle aziende connesse alla sicilianità che hanno dimostrato solidità e capacità d’investimenti. “I business connessi alla sicilianità hanno un potenziale sui mercati esteri, sono già forti di marchi locali riconoscibili e lo stesso brand Sicilia è sinonimo di prodotti artigianali di qualità, di valori tradizionali e storici”, ha spiegato il segretario generale dell’ente camerale Alfio Pagliaro.
E non poteva mancare il contributo dei diretti protagonisti, le case histories di quattro champions della sicilianità nel mondo delle imprese. Nel corso dell’incontro – moderato dal direttore di Sicilia Network, Daniele Lo Porto – a dare per primo la sua testimonianza è stato Salvo Filetti, il co-fondatore di Joyacademy-Compagnia della Bellezza, ambasciatore del made in Sicily nel mondo internazionale degli hair stylits. “Sono il quinto figlio di un padre che faceva questo mestiere – ha raccontato Filetti al pubblico – da lui e mia madre, una sarta, ho ereditato la passione per la bellezza. Quando da giovane ho deciso di fare questo mestiere, il parrucchiere, mi sono sempre però trovato ad essere accompagnato dalle frustrazioni. Era l’epoca in cui si abbandonavano i mestieri dell’artigianato per puntare al bel lavoro, alle professioni come quella dell’ingegnere e del medico, per puntare insomma ad elevarsi culturalmente. Il mio rimaneva un lavoro di poco valore”. Nella testa di Filetti scatta, però qualcosa: “C’era il desiderio di trasformare il mestiere in un’eccellenza. Incontrai il mio socio storico, Renato Gervasi, iniziammo a lottare per fare qualcosa. Ci accorgemmo subito dell’opportunità che ci contraddistingueva, la ‘vista’, da qui capimmo la necessità di fondare un marchio. Crescere insieme creando bellezza, questa è stata la mission che abbiamo affiancato al nostro brand. Non sono mancate le difficoltà, anzi sono state tante, ma siamo riusciti a fare qualcosa. A portare questa energia nelle altre parti”. Compagnia della Bellezza oggi annovera oltre 300 saloni in Italia e all’estero.
E dalla passione per la bellezza e dalla loro energia siciliana prende vita anche il Joiá Academy, che richiama non a caso la parola gioia. “Joyà è un’accademia che conta circa 40 persone che lavorano grazie a questo progetto. Il nostro Hair fashion district ogni anno riesce a formare migliaia di operatori del settore, e non solo in Italia, ma in Germania, Spagna e svizzera. Traslare la cultura dell’arte e del design al nostro campo è il nostro desiderio. Bisogna alimentare il talento. Questo per noi è fondamentale, solo con quello possiamo accendere un fuoco”, ha concluso Filetti.
Ma la sicilianità anche come maledizione e opportunità, parola di Riccardo D’Angelo, fondatore della Edisonweb e MVmant, impresa tecnologica che in barba ai luoghi comuni nasce e si sviluppa proprio nel cuore della Sicilia, a Ragusa. “Avevamo capito nel ’95 – spiega – che attraverso la tecnologia era possibile rompere i confini”. Ma all’inizio non mancarono le difficoltà, “fino a quando – ha continuato – poi non decidemmo di puntare ai colossi, come la Telecom Italia, proponendo loro di sviluppare soluzioni che potessero migliorare i loro servizi. Diventammo la prima azienda siciliana e fra le prime venti italiane fornitore ufficiale della Telecom. Gli stessi Comuni che prima vi sbattevano le porte in faccia ora pagavano i nostri software dieci volte di più senza fiatare. L’esperienza con un partner importante ci ha concesso di crescere e di migliorare i nostri strumenti”, ha detto infine. Oggi l’azienda di D’Angelo è leader nella mobilità urbana intelligente, in grado di risolvere il problema del traffico cittadino attraverso l’idea del taxi collettivo. Il progetto Edisonweb Software House di Mirabella Imbaccari è stato inoltre selezionato dai più importanti programmi di accelerazione d’impresa al mondo.
Ma oltre alla tecnologia c’è anche l’agricoltura con Andrea Passanisi, il fondatore di Sicilia Avocado e apprezzato produttore di frutti tropicali siciliani all’estero, ma anche Ciccio Mannino, presidente di Officine Culturali, in questo momento impegnato a sostenere la candidatura di Catania a capitale della cultura 2020.
Intervenuti anche i professori Rosario Faraci e Sonia Giaccone (Università degli Studi di Catania) autori di uno studio sul “Made in Sicily”. “La camera di commercio – ha spiegato Faraci – si è posta l’obiettivo di portare avanti questo progetto. Il Made in Sicily riteniamo faccia la differenza, veicola il concetto di “sicilitudine”, termine che si connette a settori che difficilmente possono essere oggetto di plagio o taroccamento. La sicilitudine è un termine che proviene dalla letteratura, Sciascia gli dedicò un libro. È uno stato andropico dell’essere siciliano, è una condizione che va al di là della fisicità, dalle risorse tangibili e intangibili, alle tradizioni, alla cultura e alla forma mentis dei siciliani, tutto questo si riverbera in una marea di prodotti e servizi che non ha eguali. Ci piace immaginare dunque un futuro in cui le risorse genereranno nuove risorse culturali e intellettuali. E vettori della sicilianità nell’economia e nel business sono i champions e gli users, campioni e consumatori. L’essere champion non è necessariamente legato al successo aziendale ma alla capacita unica di veicolare quella sicilianità. E sono i siciliani all’estero a mantenere spesso ancora più viva questa sicilianità, esportandola attraverso i prodotti e non solo”. Faraci chiude infine con un dato importante: “Solo l’agricoltura rappresenta attualmente 8% dell’intero Pil regionale, e il turismo è in crescita, ebbene, se non è una pagina di speranza questa, non so cosa altro possa esserlo”.
L’incontro è stato realizzato anche con il supporto della testata giornalistica Sicilia Network, dal portale Madisì, dal social network La Liscia Catanese, da Sicilia Convention Bureau e da Siculamente.
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19 Giugno 2017, 20:30