Cronaca

Nessun rilancio, tutti allo stadio |Così è morto il sogno di Termini

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18 Giugno 2020, 19:08

7 min di lettura

PALERMO – I soldi erano stati assegnati alla Blutec dal ministero per lo Sviluppo economico con l’obiettivo di rilanciare lo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese ed invece sarebbero stati utilizzati per altre operazioni finanziarie, lontano dalla Sicilia. E così è morta la speranza delle tute blu. Nell’elenco delle operazioni finite sotto inchiesta ci sono acquisti di titoli esteri per 8 milioni, 30 mila euro di utili “inesistenti” ma distribuiti, 185 mila euro spesi in biglietti per assistere a partite della Juventus nel triennio 2016-2017-2018, 854.000 mila euro per una “inesistente attività di consulenza”, un milione e 40 mila euro giustificati con causali generiche come “provvista fondi” e “restituzione prestito”.

Si parla anche di Fca (Fiat Chrysler Automobiles), gruppo che fa capo agli Agnelli-Elkann, nell’ordinanza di custodia cautelare che oggi ha portato all’arresto del patron di Blutec, Roberto Ginatta. Ginatta avrebbe pilotato la bancarotta prima di Blutec e poi della capogruppo Metec.

Ad Fca non viene mossa alcuna contestazione dai pubblici ministeri della Procura di Torino, ma si fa riferimento ad alcune operazioni finanziarie. Tra quelle che avrebbero causato il dissesto economico della Metec viene elencata l’acquisizione nel 2014 per tre milioni e mezzo di euro del 35% della Ims, Industria Metallurgica Sparone, dichiarata fallita nel 2016.

Un’operazione, così si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Rosanna Croce, “fatta nell’interesse del comune cliente gruppo Fca, con l’obiettivo di finanziare la Ims, in modo da consentire che continuasse ad operare, pur senza che Metec ne assumesse l’effettivo controllo, né avesse un intesse economico a suddetto investimento”. Ims, infatti, fabbricava un componente indispensabile per la produzione del Fiat Doblò.

Non solo: secondo la ricostruzione della Procura di Torino, che per le indagini ha delegato il Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, Metec “avrebbe esposto in bilancio a partire dal 2016 in poi il valore sopravvalutato della società fallita che, secondo i corretti criteri contabili, avrebbe dovuto essere svalutata almeno far data dalla dichiarazione di fallimento”.

L’acquisizione delle quote di Ims sarebbe avvenuta dapprima ad opera di una società controllata da Metec, la San Marco Veicoli. Il costo dell’operazione era stato di due milioni e mezzo di euro che la San Marco Veicoli versò a Ims come aumento di capitale. Nel 2014 la partecipazione fu ceduta da San Marco Veicoli alla società Mim (oggi Metec) per un valore di tre milioni e mezzo di euro. Un milione in più rispetto all’aumento di capitale, frutto di “interessi, costi sostenuti e attività accessorie”. L’aumento di capitale in realtà non venne mai effettuato e la Ims fu dichiarata fallita dal Tribunale di Torino nel marzo del 2016.

Il gruppo Metec, secondo l’accusa, non ha mai conseguito l’effettivo controllo della Industria Metallurgica Sparone, né avrebbe avuto un interesse finanziario all’acquisto delle quote, visto che già al momento dell’investimento iniziale la Ims risultava fortemente indebitata. “Sintomatica la correlazione temporale – si legge nelle carte giudiziarie – tra l’acquisto da parte della Metec delle quote della società Ims ad un prezzo di 3 milioni e 500.000 euro e il fallimento dichiarato neanche un anno e mezzo dopo l’acquisto”.

Scavando nel passato della società si è scoperto che già nel luglio 2015 era stata avviata la procedura di scioglimento con la nomina di un liquidatore perché c’erano delle perdite milionarie. Ecco perché scrive il giudice: “Anche sotto questo profilo emergono gravi indizi in ordine alla natura dolosa dell’operazione di acquisto posta in essere da Metec che non trova alcuna giustificazione razionale nell’ottica della continuità aziendale. Trattandosi di un acquisto di un’azienda fortemente indebitata che esponeva la Metec ad assumere impegni eccedenti la capacità patrimoniale della stessa e che, per la gravosità delle perdite, appare obiettivamente dettata da scelte estranee all’interesse sociale”.

Insomma, per Metec l’acquisto della Industria metallurgica Sperone non fu un affare. Secondo gli inquirenti “l’investimento in questione venne effettuato sostanzialmente nell’interesse di Fca che ha sempre gestito gli sviluppi dell’operazione, in modo da assicurare la continuità della propria linea produttiva, senza che fosse ravvisabile analogo interesse per Metec”.
Fca era il principale partner commerciale sia delle società del gruppo Metec che di Ims. “Pertanto, l’investimento appare essere stato effettuato nel contesto dei ‘buoni rapporti’ – si legge ancora – con Fca (che, non era solo il principale cliente di Blutec, ma anche la società che aveva costantemente finanziato la stessa Blutec. cosi da consentire che continuasse ad operare) in modo da immettere della liquidità in Ims e far si che non si interrompesse nell’immediato la linea produttiva della stessa”.
Il collegamento fra Fca e Ginatta sembra trovare conferma negli appunti manoscritti dallo stesso Ginatta e sequestrati dai finanzieri: “… noi contribuiremo per quello che potremo alla liquidazione ma ci aspettiamo da Fca almeno 10m. Noi oltretutto dovremo sopportare il grande danno all’immagine che ne sta derivando (territorio, sindacati, banche,…) cosa che a voi sembra non importare! Siete riusciti nell’impresa di tagliare altri 20m di fatturato (Smv)”. E cioè San Marco Veicoli.

L’inchiesta dei pubblici ministeri Laura Longo, Vito Destito e Francesco Saverio Pelosi ha passato al setaccio anche altri investimenti.
La Blutec per il rilancio di Termini Imerese aveva ricevuto 16 milioni (è la cifra contestata l’anno scorso dai pm di Termini Imerese prima che l’inchiesta per malversazione venisse trasferita a Torino per competenza territoriale). Una parte dei soldi sarebbero stati investiti in alcune operazioni finanziarie attraverso un’altra società, la Due Holding srl.

In particolare, scrive il giudice, il denaro di Blutec sarebbe stato utilizzato “nell’acquisto di partecipazioni nella società di diritto estero Gamma Luxemburg (società di partecipazioni con sede in Lussemburgo della famiglia Agnelli) per un importo di 3.968.632 complessivi, 107.188 euro impiegati con causale ‘Compravendita Titoli” della Italia Independent Group (il cui rappresentante legale è Lapo Elkann) e 600.000 a beneficio della società Laps To Go Holding con la causale ‘Futuro aumento’ (sempre legalmente rappresentata da Lapo Elkann”.

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L’inchiesta di oggi è l’epilogo di una vicenda che inizia nel 2014, a Pescara, dove viene costituita Blutec.

Nel 2015 c’è l’accordo di programma con i dicasteri dello Sviluppo economico, con la Regione siciliana e il Comune di Termini, per un importo complessivo di circa 95 milioni di euro.

A partire da dicembre 2016, Invitalia ha erogato a titolo di anticipazione circa 21 milioni. Le indagini hanno consentito di dimostrare che almeno 16 milioni sarebbero “scomparsi”, destinati all’acquisto di beni e servizi, per esempio software mai utilizzati, o sarebbero finiti su alcuni titoli esteri. 
Più che un sogno il rilancio di Termini è stato un bluff.

Roberto Ginatta “mi diceva che non si sognava di investire tutti quei soldi nello stabilimento di Termini Imerese”. A raccogliere la confidenza del presidente del Consiglio di amministrazione di Blutec è stato il rappresentante legale di un’impresa di consulenza che vantava un credito nei confronti della società che doveva fare rinascere lo stabilimento ex Fiat producendo componentistica e auto ibride. Le sue dichiarazioni sono andate a ingrossare il fascicolo dei finanzieri del Nucleo di polizia economica-finanziaria di Palermo. Conti alla mano si tratta di 16 milioni e mezzo “sprecati”.

Il primo via libera all’erogazione di 21 milioni è del dicembre 2016, di cui 19 milioni dovevano essere spesi entro giugno 2017. Il 6 luglio, dopo un tira e molla con Invitalia, società del Ministero dello Sviluppo economico, Blutec presenta uno stato di avanzamento lavori di tre milioni di euro e un altro, nel marzo 2018, di 14 milioni”.

Secondo la Procura di Termini Imerese (solo dopo il fascicolo finirà a Torino), invece di finanziare la rinascita dello stabilimento ex Fiat, il denaro sarebbe finito in un buco nero di speculazioni finanziarie e operazioni sospette.

Ad esempio risultavano rendicontante le spese – più di un milione e 250 mila euro – per un software di progettazione. I finanzieri hanno raccolto le testimonianze dei dipendenti tornati in fabbrica: non hanno mai utilizzato e neppure visto il costoso programma. Nel dicembre 2016 i primi 8 milioni di finanziamenti vengono erogati su un conto corrente aperto in una filiale milanese del Credite Suisse.

Lo stesso giorno il denaro transitò su un ulteriore rapporto finanziario denominato “premium mandate”. Sul vecchio conto restano 350 euro. Che fine hanno fatto i soldi? La Procura parla di investimenti in attività speculativa che nulla hanno a che fare con il progetto industriale.

Ad aggiungere anomalie al già torbido quadro sono alcuni passaggi di denaro da Bluec a Metec,(la società madre di cui Blutec è la partecipata) di cui Ginnatta è il proprietario. Ed ancora i soldi transitati verso una società riconducibili ai figli del presidente del Cda di Blutec. Si tratta di poco più di due milioni di euro “non riconducibili ad alcuna fatturazione”.

Quando Invitalia ha messo l’azienda con le spalle al muro chiedendo la restituzione dei finanziamenti i vertici di Blutec hanno chiesto ulteriore tempo e si è iniziato a parlare di un nuovo progetto industriale con il ministero. Troppo tardi: i soldi andavano recuperati. Ed è partita anche l’inchiesta. Oggi il nuovo capitolo giudiziario.

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18 Giugno 2020, 19:08

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