“Riina venduto a pezzi dello Stato | Ci adoperammo per Forza Italia”

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21 Novembre 2013, 12:34

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PALERMO-Dalla dichiarazione di guerra di Totò Riina ai presunti rapporti fra mafia e politica. Dagli attentati alla conferma del cuore dell’accusa che i pubblici ministeri cercano di provare : “La cattura di Riina sarebbe stata oggetto di una trattativa avviata tra il boss Bernardo Provenzano e una parte dello Stato”.

La lunga, lunghissima deposizione di Nino Giuffrè al dibattimento sulla trattativa Stato-mafia ripercorre un ventennio di storia. “Nel ’91 partecipai alla famosa riunione della resa dei conti di Cosa nostra dove si decise l’eliminazione dei politici ritenuti inaffidabili, come Lima, i Salvo, Mannino, Vizzini e Andò, e i magistrati ostili come Falcone e Borsellino”, racconta Manuzza. La mafia che alla politica aveva strizzato l’occhio (dal 1987 avrebbe spostato i suoi voti dalla Dc al Psi e ai Radicali) cambiò strategia in una drammatica riunione:”Dopo la riunione iniziò una politica di aggressione a chi veniva considerato un traditore”.

La riunione della “resa dei conti” avvenne a dicembre del ’91, poco dopo la Cassazione confermò gli ergastoli del maxiprocesso. “Fu la goccia che fece traboccare il vaso”, spiega Giuffrè, “ma già a dicembre si vociferava che la sentenza sarebbe andata male”. L’arresto di Riina, però cambia il corso delle cose: “Nel ’93, dopo le stragi di Falcone e Borsellino incontrai Provenzano. Era un altro uomo: aveva adottato la strategia del ‘calati iunco che passa la piena’. Aveva un atteggiamento da ‘vergine’ come se le colpe di quanto fosse accaduto fossero solo di Riina”.

Ed ancora. “Provenzano mi disse che si doveva mettere da parte l’attacco frontale allo Stato perché contro lo Stato si perde. Mi disse di non fare scruscio e tornare ai discorsi antecedenti al cataclisma perché in sei o sette anni di questa strada ne saremmo usciti fuori”. Non tutti, però, la pensavano alla stessa maniera. Luca Bagarella, Giovanni Brusca ed altri fedelissimi di Riina proseguirono l’attacco allo Stato con le bombe del 93: “Noi vivemmo quel momento quasi con paura perché le stragi avevano addirittura superato il Continente”.

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Da Giuffrè anche una rivelazione sull’arresto di Riina: “Dopo l’arresto di Riina nel nostro gruppo si pensava che qualcuno l’avesse venduto e che non avessero disposto la perquisizione della sua casa per non trovare tracce, documenti”. La cattura di Riina sarebbe stata oggetto di una trattativa avviata tra il boss Bernardo Provenzano e una parte dello Stato. L’arresto del boss stragista fu il prezzo pagato da Cosa nostra – spiega Giuffrè – “a quella parte di Stato che per alcuni versi aveva avuto una vicinanza con la mafia”.

In sostanza Provenzano avrebbe consegnato prima Riina, poi gli altri boss che facevano parte della frangia sanguinaria di Cosa nostra. Un disegno che, secondo il pentito, avrebbe portato serenità ai politici – bollati come traditori nella lista nera della mafia – e alla mafia “benefici e un allentamento delle maglie repressive”.

Infine, nelle dichiarazioni del pentito ed ex braccio destro di Provenzano, fa capolino un passaggio ‘politico’. “In Cosa nostra ci adoperammo tutti per dare una mano a Forza Italia, la forza politica che allora stava nascendo”. L’ex senatore Marcello Dell’Utri sarebbe stato il tramite tra la mafia e Silvio Berlusconi. “Dell’Utri -conclude Giuffrè – era in contatto con Brancaccio e coi fratelli Graviano. Nel ’93 c’è l’inizio di un nuovo capitolo: si apre un nuovo corso tra Cosa nostra e la Politica. Provenzano all’inizio era un po’ freddo poi, parlando di Dell’Utri e di Forza Italia, mi disse ‘Siamo in buone mani'”.

In aula c’è anche il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo. Al bunker dell’Ucciardone, in apertura di udienza, prende la parola per dire che “ho deciso di venire questa mattina per espressa volontà dei colleghi della Procura con i quali ci siamo riuniti ieri per esprimere la solidarietà dell’intero ufficio al pm Nino Di Matteo e a tutti i magistrati dell’accusa (oltre a Di Matteo, anche l’aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia). che sono stati minacciati pesantemente da Totò Riina. Sono venuto io in rappresentanza di tutto l’ufficio, perché sarebbe stata improponibile la partecipazione all’udienza di tutti i pm della Procura. Ma tutti insieme, attraverso la figura del procuratore che rappresenta l’ufficio all’esterno, abbiamo voluto esprimere la nostra vicinanza ai colleghi”.

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21 Novembre 2013, 12:34

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