05 Luglio 2016, 21:05
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PALERMO- Non funziona. Conti alla mano, Riscossione Sicilia non funziona. La radiografia della società è apparsa sul rendiconto illustrato stamattina dalle Sezioni riunite della Corte dei conti. Ed è la sintesi di un vero e proprio fallimento. La riscossione nell’Isola è, insomma, più bassa che nel resto d’Italia. I dati nel 2015 sono peggiori a quelli dell’anno precedente. E l’azienda guidata oggi da Antonio Fiumefreddo, continua a drenare risorse pubbliche per stare in piedi.
Ma Crocetta ha difeso con unghie e denti quello che per lui è uno degli ultimi vessilli dell’autonomia siciliana, svenduta, tra l’altro, a più riprese a Roma. Eppure, per i magistrati contabili, finora questa questa decisione non ha portato vantaggi alla Sicilia. Una Regione già in gravi difficoltà economiche. Difficoltà che si traducono anche nelle inefficienze della riscossione. “L’andamento della riscossione in Sicilia – si legge infatti nel rendiconto – ha continuato a risentire, nel corso del 2015, del contesto socio-economico sfavorevole, caratterizzato da un persistente alto tasso di disoccupazione e dalla lenta ripresa dei fattori produttivi: ciò in controtendenza con il dato nazionale che, invece, ha registrato un incremento dell’11,2 per cento sulla riscossione da ruoli”.
E Riscossione non avrebbe rispettato nemmeno i “patti”: nel corso del 2015, scrivono infatti i magistrati contabili, la società “non ha raggiunto l’obiettivo previsto dalla convenzione, ovvero l’incremento del 5 per cento rispetto alle somme riversate all’erario nel 2014”. Anzi, la Corte dei conti lancia anche qualche consiglio alla Regione, come “l’adozione di nuove strategie per il miglioramento della performance della Società, tanto sotto il profilo dell’adozione di sinergie operative con enti o strutture operanti nel perimetro dell’azione societaria (Equitalia, Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza ed enti locali interessati) quanto sotto il profilo di una radicale riorganizzazione aziendale, volta al raggiungimento dell’equilibrio economico-patrimoniale secondo logiche di efficienza”.
Perché oltre a non riscuotere come dovrebbe, Riscossione costa pure tanto. “Queste Sezioni riunite – si legge sempre nel rendiconto – non possono non rilevare che le pesanti perdite dei bilanci societari, nell’ultimo quinquennio, hanno portato il patrimonio netto di ‘Riscossione Sicilia S.p.a.’ da una consistenza di 40,7 milioni di euro alla data del 31 dicembre 2010, a 9,2 milioni al 31 dicembre 2015”. Il patrimonio è stato di fatto azzerato. E per tenere in piedi la società è servita, a Sala d’Ercole, una drammatica ricapitalizzazione, con tanto di teatrale disarcionamento dell’allora presidente Antonio Fiumefreddo, rientrato pochi giorni dopo in qualità di amministratore unico. Un fedelissimo del presidente, che aveva a più riprese provato a portare in giunta l’avvocato catanese. Ma la Corte anche sulla gestione-Fiumefreddo non è tenera: non si registra, annotano i magistrati contabili, “alcuna inversione di tendenza, nonostante la Regione sia intervenuta con rilevanti interventi finanziari già nel 2014, con l’erogazione di 40 milioni di euro a titolo di anticipazione, che la Società avrebbe dovuto restituire entro il 31 dicembre 2014 e nuovamente con la legge di stabilità per il 2015, con la quale, al fine di assicurare il funzionamento del servizio della riscossione, ha riconosciuto il rimborso a carico della Regione delle spese di riscossione per le procedure esecutive, quantificato in 78,6 milioni di euro, con la contestuale compensazione ex lege del debito di 40 milioni di euro erogati dalla Regione, a titolo di anticipazione”.
Un’azienda che da sola non sta in piedi, quindi, nonostante l’ostinazione del presidente. La Corte dà atto a Fiumefreddo di aver ridotto del 15 per cento i costi di gestione amministrativa, “in assoluto ancora elevati (59,2 milioni)”, precisa però. E anche “gli interventi di contenimento sui costi di gestione che, in alcune voci hanno fatto registrare significativi decrementi rispetto all’esercizio 2014, ancor più significativi con riferimento ai dati risultanti dal bilancio 2012”.
Ma non può bastare. Nonostante proprio in queste ore si sia diffusa la notizia dei pignoramenti rivolti ai Comuni per ritardi legati al pagamento dei tributi. Un dato cui già si accennava nel rendiconto: “Con riferimento all’ultimo quadrimestre del 2015 – scrive la Corte dei conti – è emerso che tra i ‘grandi evasori’ si annovera, anche, un considerevole numero di enti pubblici: risultano iscritti a ruolo Comuni per un carico complessivo di 41 milioni di euro e altre pubbliche amministrazioni (istituti di istruzione, università, aziende sanitarie, consorzi di bonifica ed enti vari) per un debito pari a 98,3 milioni di euro”.
I risultati di Riscossione, però, finora non sono confortanti. Anzi, non solo la tanto attesa svolta non è arrivata, ma il trend dell’ultimo esercizio finanziario è persino peggiore dell’anno precedente: “Il carico dei ruoli tributari – scrive infatti la Corte – di spettanza regionale affidato a “Riscossione Sicilia S.p.a.”, è risultato pari a 2,8 miliardi di euro e segna una flessione del 23,2 per cento rispetto ai 3,6 miliardi del 2014. L’ammontare complessivo delle riscossioni è pari a 499 milioni (575,5 milioni nel 2014), di cui 300,9 da versamenti diretti e 198 milioni di euro dai ruoli, di cui 3,9 milioni riconducibili a ruoli straordinari: il decremento, pertanto, si attesta al 13,2 per cento”. Costa tanto e non funziona. Una sonora bocciatura per Riscossione. Che Crocetta vuole tenere in piedi a tutti i costi. Costi a carico dei siciliani, ovviamente.
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05 Luglio 2016, 21:05