Crac Sigenco, ancora sequestri |Maxi operazione della Finanza

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14 Aprile 2018, 12:05

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CATANIA – Ancora una tegola giudiziaria per la famiglia dell’imprenditore, ormai scomparso, Santo Campione. Volto del colosso delle costruzioni Sigenco. La Guardia di Finanza ha sequestrato cinque immobili del valore stimato in tre milioni di euro. Un provvedimento che scaturisce dalle indagini per bancarotta fraudolenta della Si.Gen.Co. Sistemi Generali Spa. Il Gip di Catania ha accolto le richieste della Procura.

IL CRAC SIGENCO. “La Si.Gen.Co. spa società già operante nel settore delle costruzioni edili, veniva dichiarata fallita nel 2013 – si legge nella nota della Guardia di Finanza che ripercorre la storia aziendale del colosso – dopo che vi era stata la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo con un passivo di 80 milioni di euro”. La Si.Gen.Co. ha firmato diverse opere. Tra queste ricordiamo “l’aeroporto di Lampedusa, un lotto della strada “dei due mari” Gela – Santo Stefano di Camastra (ME), un ospedale di Mazara del Vallo (TP), alcuni lotti dell’autostrada Salerno- Reggio Calabria, l’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta, il parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Martino di Genova, la Torre Biologica di via Santa Sofia a Catania”.

IL MIRINO DELLA MAGISTRATURA. Il 2014 è un anno da dimenticare per la società creata da Santo Campione. “I militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania eseguivano – si legge ancora – un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Catania, su richiesta di questa Procura, per oltre 3 milioni di euro per le ipotesi di bacarotta fraudolenta, truffa e falso attribuite all’amministratore pro tempore della società di capitali, Santo Campione (defunto) e il figlio Pietro”.

L’INDAGINE. Il sequestro di oggi è l’atto finale dell’indagine che serve ad accertare altri “casi di distrazione e dissipazione delle risorse finanziarie della Sigenco”, che dovrebbero essere destinare a saldare i debiti con l’Erario e i creditori. Gli accertamenti hanno portato a colpire due persone di fiducia di Santo Campione, la moglie Rosaria Arena e Raffaele Partescano. 

LE ACCUSE A PARTESCANO. La Guardia di Finanza precisa quali siano le accuse nei confronti dei due indagati. In particolare “Raffaele Partescano risponde del reato di bancarotta fraudolenta, quale amministratore di diritto della Fortuna s.r.l., in concorso con l’allora amministratore della Si.Gen.Co, Santo Campione, in quanto avrebbe distratto circa 2 milioni di euro versati dalla Si.Gen.Co. alla Fortuna srl senza una valida giustificazione economica”. Per la Finanza “La Fortuna srl, società che gestisce alberghi, ristoranti e bar, era una società riferibile al medesimo nucleo familiare (costituita nel 2004 dai figli di Santo Campione) e, dunque, allo stesso centro di interessi economici. La somma di denaro veniva rimpiegata – secondo gli investigatori –  nell’arco temporale che va dal 2006 al 2012, nell’acquisizione di 4 immobili siti nel comune di Catania dei quali uno adibito ad abitazione”.

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LE ACCUSE NEI CONFRONTI DI ARENA. “Rosaria Arena, quale socia della Si.Gen.Co Service srl  (società controllante la Si.Gen.Co), concorreva nella bancarotta fraudolenta – si legge nella nota della Finanza – con il coniuge Santo Campione perché beneficiaria di un trasferimento di oltre 3 milioni di euro quale corrispettivo di una vendita di un terreno. L’operazione commerciale in questione risultava assolutamente svantaggiosa per la Sigenco  in quanto – osservano gli inquirenti – la stessa impegnava risorse finanziarie di quest’ultima per l’acquisto di un bene non funzionale all’attività d’impresa e a condizioni economiche del tutto fuori mercato. Le somme così appropriate indebitamente, secondo la Procura, venivano destinate all’acquisto di un villino in Sant’Agata Li Battiati”.

Le indagini sono state avviate dopo alcune “segnalazioni di operazioni sospette” nei confronti di Santo Campione, nelle quali “erano evidenziati – scrivono gli investigatori – anomali flussi finanziari diretti dai conti correnti societari ai rapporti bancari intestati allo stesso amministratore e ai suoi più stretti congiunti. Gli approfonditi e complessi riscontri operati dalle Fiamme gialle etnee hanno consentito – aggiungono i magistrati –  di ricostruire l’articolato percorso delle somme sottratte all’Erario, alla società e ai suoi creditori”.

La Guardia di Finanza ha sequestrato 5 immobili (adibiti ad abitazioni, ufficio pubblico, magazzino e a bottega) costituente – secondo la Procura –  l’ulteriore profitto del reato contestato agli indagati, pari a circa 3 milioni di euro.

 

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14 Aprile 2018, 12:05

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