Onorevole Antonello Cracolici, presidente della Commissione Antimafia regionale, esponente storico del Partito democratico, qual è la situazione del Pd in Sicilia, dopo tante parole e tantissime polemiche?
“Non sono abituato alla reticenza. Il Pd siciliano è su una china rovinosa, un partito di separati in casa per le vicende che sappiamo. Questo, purtroppo, pregiudica la possibilità di essere efficaci, proprio mentre vengono al pettine i nodi di chi governa la Sicilia e della maggioranza. Il quadro politico è in fibrillazioni e noi rischiamo l’irrilevanza”.
Lei si era proposto come candidato di mediazione alla segreteria, senza successo…
“Non ho mai posto un tema personale. Temevo che un congresso con il braccio di ferro incorporato avrebbe generato gli scenari che abbiamo sotto gli occhi, con un Pd lacerato e poco efficace. E’ quello che sta succedendo”.
Il Pd nazionale ha dato l’impressione di non interessarsi troppo della questione siciliana. Conferma?
“C’è una grande disattenzione sulla Sicilia, come se si desse per persa e non ci fosse voglia di giocare la partita”.
Lei, ovviamente, non condivide.
“La mia idea è di segno opposto: un Pd forte e coeso in Sicilia potrebbe dare una spinta fortissima anche per le elezioni politiche. Qui abbiamo il centrodestra più esteso, in termini numerici, ma si avverte la difficoltà, da parte loro, di mettere in campo una visione politica comune. D’altra parte, noi non possiamo pensare di affidarci al mantra del campo largo e basta. Non ci si può occupare solo del contenitore, senza contenuto sarebbe come un bidone vuoto”.
Che sfida immagina in Sicilia?
“Il Pd nazionale dovrebbe capire che non serve un partito regionale senza fiducia in se stesso, irrilevante per l’opinione pubblica, con i militanti disorientati. La cura dei territori è essenziale. Noi potremmo tornare a essere laboratorio politico. Abbiamo visto, a Palermo e nell’Isola, decine di migliaia di persone sfilare per Gaza. Ero con loro, in piazza, Mentre sfilavo, pensavo: quanti di questi vanno a votare?”.
Sì, ma come si risolve il dilemma del Partito democratico in Sicilia?
“Ci vorrebbe una forte iniziativa da Roma. Non possiamo permetterci un partito di separati in casa, lo sottolineo ancora. Se non si fa niente, la situazione si incancrenirà. In ognuna della parti in causa ci sono persone responsabili, col senso del limite. Però, non basta più”.
Torniamo al centrodestra siciliano, in che frangente si muove, secondo lei?
“Sono divisi, è sotto gli occhi di tutti. C’è una parte politica al governo che bada soltanto a conquistare e controllare, mentre è tornato in grande stile il cuffarismo, nel senso dell’arbitrio, del clientelismo, e il presidente della Regione è chiaramente in contrasto nettissimo con la sua maggioranza”.
Il presidente Schifani, in una intervista al nostro giornale, ha rivendicato quelli che sono, a suo modo di vedere, i risultati del governo.
“Siamo davanti a una narrazione che rovescia completamente la realtà. Il disavanzo azzerato, per dirne una, nasce dal fatto che la Sicilia non riesce a spendere più. Manca anche una visione economica, non solo politica. Nelle manovrine si punta a obiettivi minimi, specifici, per raccattare il piccolo consenso. Su tutto si staglia l’immagine di Schifani, per mera comodità”.
In che senso?
“Nel senso che si mette avanti la propaganda pur di non affrontare i nodi politici veri del centrodestra. Sono convinto che l’attuale presidente non sarà ricandidato. Però, in questo momento, è funzionale fare credere che sarà così”.
E il centrosinistra? Sta riflettendo sul percorso verso le elezioni regionali? Secondo lei chi sarebbe un buon candidato?
“Non c’è bisogno di un papa straniero e, personalmente, non tollererò invenzioni, o nomi usciti dal cappello a cilindro. Vorrei piuttosto una personalità interna che ispiri fiducia, per la sua esperienza, al popolo siciliano”.
Ad alcuni potrebbe sembrare un po’ il suo ritratto…
“Guardi, non sono un indovino. Sono quello che sono: un dirigente progressista che darà il suo contributo al di là del ruolo”.
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