10 Aprile 2017, 06:06
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PALERMO – “Dimettermi? Sono un combattente. E se vogliono, devono farmi cadere sul campo di battaglia”. Con queste parole il governatore Rosario Crocetta, forte della convinzione di “vincere le prossime elezioni”, sfidava pochi giorni fa i suoi avversari esterni e soprattutto interni. Ma quelli, nel frattempo, sul campo di battaglia lo hanno lasciato solo. E sono andati via. Altrove. Entrando molto più che metaforicamente, nel “dopo Crocetta”.
E così, il presidente è rimasto solo. Abbandonato da tutti, a poco a poco. E costretto, mancando ormai di alcuna capacità di guidare un governo in cui ciascuno va per conto suo, a inaugurare la stagione delle “lettere aperte”. Sbeffeggiate anche dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone che le ha definite le “letterine a Babbo Natale”. Crocetta è ormai il dopo anche in parlamento. È ormai il passato.
Lo ha dimostrato proprio la commissione bilancio dell’Ars. Che ha deciso di impallinare, una dopo l’altra, le norme che interessavano maggiormente al presidente. Che nel frattempo, a dimostrazione del fatto di essere ormai un corpo estraneo al gioco politico-istituzionale in Sicilia, si guardava bene dal passare da Palazzo dei Normanni. Anzi, in occasione della seduta d’Aula nella quale era previsto l’approdo della Finanziaria, ha anche deciso di convocare, insieme all’assessore alla Salute Baldo Gucciardi ed esattamente in contemporanea con la convocazione dell’Ars, una conferenza stampa sulla rete ospedaliera. Altro appiglio possibile per l’iperbole che è ormai segnale vero della crisi: “Abbiamo evitato la chiusura di decine di ospedali”. Decine. Come se in Sicilia di ospedali ce ne fossero duemila.
Ma tant’è. Crocetta la spara più alta e più grossa possibile, per far sentire anche la sua voce. È il caso del nuovo “giallo” relativo a Riscossione Sicilia. Emerso giusto giusto negli ultimi giorni, con questi toni: il contenzioso col Monte dei Paschi di Siena e il sospetto che qualche deputato dell’Ars non abbia a cuore l’interesse dei siciliani, ma voglia fare il gioco di “soggetti esterni alla Sicilia”. Lui, proprio lui che ha messo una firma in calce alla rinuncia sui contenziosi della Sicilia contro lo Stato.
Più che all’esterno, in realtà, Crocetta dovrebbe guardare all’interno. Dove non è rimasto nessuno. Se non i reduci di questa avventura sgangherata, non a caso citati un po’ dovunque dal presidente della Regione. Sono i due Antonio, in particolare: Fiumefreddo e Ingroia. Che hanno, per il governatore che riesce ormai ad assicurarsi l’ultimo posto di tutte le classifiche di gradimento, la qualità essenziale di far discutere di sé. Nel bene e nel male. Personalità, quelle dell’amministratore unico di Riscossione e di quello di “Sicilia digitale” che consentono a Crocetta di giocare “di sponda”. Non è più Fiumefreddo, non tanto Ingroia ormai ad avere bisogno del presidente. Ma esattamente il contrario. Per il governatore sono gli ultimi appigli per manifestare, sui media locali e nazionali, di essere ancora lì, sulla poltrona più prestigiosa della politica siciliana.
Ma al di là di quelle figure, e di un esercito di comprimari con la qualità essenziale della fedeltà cieca e necessaria, non c’è più nessuno. Andati via alla spicciolata, come succede in quei crocchi nei quali c’è una presenza che non va più a genio a nessuno. Via, persino quelli che a lui devono l’elezione, catapultati all’Ars grazie al suo listino. Oggi sono persino opposizione di Crocetta, in molti casi. Dove sono passati pubblicamente diversi deputati centristi, dal capogruppo dell’ex Udc Mimmo Turano, al presidente della commissione bilancio Vincenzo Vinciullo, deputato Ncd. Via anche i deputati del Megafono che dovevano rappresentare a Sala d’Ercole la nuova, rivoluzionaria idea politica del governatore, sciolta di fronte alle incoerenze del suo governo. Un governo dal quale decideva di prendere le distanze, sbattendo la porta, uno dei simboli della campagna elettorale di Crocetta: l’addio di Lucia Borsellino, a pensarci bene, è stato sotto molti aspetti l’inizio della fine.
E poi, il suo partito. Il Pd che non l’ha amato mai. Ma che adesso lo considera “il passato”. L’esperienza rispetto alla quale (ipocritamente) segnare un solco, nella speranza che i siciliani non ricordino, a novembre, che quegli uomini con Crocetta hanno governato e hanno consentito di tenerlo lì per un’intera legislatura. Ma quello che è accaduto all’Ars in questi giorni è simile a un disvelamento. Se fino a pochi giorni fa, il gioco dello “scaricaCrocetta” era affidato al solo Davide Faraone, che si è spinto ad affermare che il sostegno al governatore sarebbe sintomo sufficiente per un trattamento sanitario obbligatorio, oggi un po’ tutti nel Pd hanno gettato la maschera: bocciando le norme care a Crocetta e lanciando un segnale chiaro in vista della Finanziaria: le carte non le dai più tu. E con i renziani, in realtà, oggi giocano anche gli altri. Quelli che una volta sembravano pronti ad abbandonare Crocetta (“Si spengono le luci”, azzardò Cracolici), ma che, nonostante l’ingresso nel governo, non sembrano disposti a sostenere questo presidente. Che è diventato già “il passato” pure per gli uomini di Totò Cardinale, da tempo ormai in fibrillazione, nonostante un assessore in giunta. Al governatore è rimasto, a pensarci bene, giusto il senatore Beppe Lumia, big sponsor della sua elezione. E animatore di quel “Riparte Sicilia” che sembra più che altro una carta da giocarsi sul tavolo delle prossime contrattazioni in vista delle elezioni politiche. Dove Crocetta e lo stesso Lumia proveranno probabilmente a trovare riparo. E allo stesso modo vanno lette le intenzioni di ri-candidatura di un presidente che sa bene di non avere alcuna chance di vittoria. E che però insiste: “Non mi dimetto. Se vogliono, devono farmi cadere sul campo di battaglia”. Ma su quel campo, il governatore della rivoluzione mancata è rimasto solo.
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10 Aprile 2017, 06:06