28 Novembre 2014, 06:00
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PALERMO – La finanza ha lavorato al “pasticcio” Sicilia e-Servizi per mesi. L’informativa è servita ai magistrati contabili per citare in giudizio undici persone ipotizzando un danno erariale da un milione di euro. Adesso le stesse carte dei finanzieri sono oggetto di approfondimento della Procura della Repubblica. Insomma, dopo i pm contabili si muovono quelli ordinari per valutare se ci siano o meno profili da codice penale.
Per la verità su Sicilia e-Servizi al Palazzo di giustizia di Palermo si indaga da tempo. Per la precisione, da quando Antonio Ingroia si presentò dai suoi ex colleghi per denunciare di avere scovato al suo arrivo nella partecipata regionale parcelle e consulenze milionarie. Sul tavolo del procuratore aggiunto Leonardo Agueci ora, però, c’è molto di più: l’informativa delle fiamme gialle e presto si aggiungerà la citazione a giudizio davanti alla Corte dei conti, per il 15 maggio prossimo, del commissario Antonio Ingroia, del governatore Rosario Crocetta, degli ex assessori Antonino Bartolotta, Ester Bonafede, Dario Cartabellotta, Nelli Scilabra, Michela Stancheris e Patrizia Valenti, dell’avvocato dello Stato Giuseppe Dell’Aira e dei dirigenti regionali Mariano Pisciotta e Rossana Signorino. La citazione del procuratore contabile Guido Carlino e del suo vice Gianluca Albo è zeppa di riferimenti all’attività della Guardia di finanza su cui ora si concentra la magistratura ordinaria.
Il governo Crocetta, insomma, stando alle accuse, avrebbe sbagliato tutto. Ha prima deciso, poi è tornato sui suoi passi, dimostrandosi “illogico e improvvisato”. Quelle assunzioni, insomma, non erano giustificate in nessun modo. Nemmeno dalla convenzione con i privati cui spesso si fa riferimento. Sul punto gli atti frutto dell’inchiesta della Procura della Corte dei conti e della Guardia di finanza erano stati fin troppo chiari: “Nessun atto – scrivono – né della procedure di evidenza pubblica per la scelta del socio privato, né a valle della medesima, prevede un esplicito riferimento ad un obbligo di far transitare personale dal socio privato Sisev al socio pubblico Siese, e men che meno si prevedeva un transito di massa”.
Un transito durante il quale non si sarebbe prestata molta attenzione ai titoli in possesso dei lavoratori. “Il popolamento – si legge nella citazione a giudizio – altro non era che il transito diretto nella società pubblica, Siese, del personale che il socio privato, Sisev, aveva assunto con chiamata diretta, attingendo alle professionalità più eterogenee e, verosimilmente, senza prestare molta attenzione ai curricula di riferimento”. E i magistrati contabili “a titolo esemplificativo” fanno riferimento, tra le persone assunte da Sisev e poi (ri)assunte da Sicilia e Servizi, a “ex ranger guardiaboschi, ex animatori di villaggi turistici, ex precari della politica”.
Gente comunque “testata”, prima della nuova sottoscrizione dei contratti, dalla Commissione incaricata dallo stesso Antonio Ingroia. Ma anche su quella commissione, considerata dall’amministratore unico della società, “di alto profilo” e i cui tre componenti saranno destinatari di compensi forfettari oscillanti tra i 5 e i 6 mila euro, non mancano i dubbi dei pm contabili. “Non risulta alcuna regolamentazione primaria o di grado inferiore idonea a disciplinare composizione, procedimento e competenze della Commissione di verifica”.
E nemmeno le giustificazioni di Antonio Ingroia, stando alle risultanze della magistratura contabile e della Guardia di finanza, “reggerebbero”. L’ex liquidatore poi amministratore unico della società, che riteneva di essere nel giusto sulla scorta di un parere favorevole dell’Avvocato dello Stato Giuseppe Dell’Aira, infatti, aveva spiegato quelle assunzioni facendo riferimento a uno “stato di necessità”. Il rischio, insomma, che saltasse in aria tutto il sistema informatico della Regione e la perdita di dati sensibilissimi. “L’emergenza derivante dalla fuoriuscita del socio privato e il rischio di paralisi del servizio, non può valorizzarsi – scriveva la Procura della Corte dei conti – come elemento esimente poiché non trattandosi di evento imprevedibile, ma ampiamente previsto da un vincolo contrattuale ultrasettennale e gestito dalla giunta con la scelta di ribadire il divieto di popolamento, di internalizzare il servizio e di liquidare Siese, fa divenire ancora più grave la leggerezza e improvvisazione gestionale dei dirigenti e degli amministratori”.
La colpa maggiore, insomma, stando agli atti che accusano Crocetta, Ingroia e gli ex assessori starebbe proprio nel fatto di avere avallato “un reclutamento di massa ‘al buio’, rinnegando un esplicito divieto legale dai medesimi ribadito pochi mesi prima”. Ribadito non solo con intenzioni vaghe o con annunci informali. Ma addirittura con la creazione di un Ufficio speciale che si sarebbe dovuto occupare dell’informatica. Non solo. Una volta trasferito il personale da altri dipartimenti a quell’ufficio, prima nove, poi 15 dipendenti regionali sono stati affiancati al personale della società e del socio privato. Affiancamento necessario proprio per l’avvicinarsi della scadenza della convenzione e per la scelta del governo di internalizzare quelle funzioni. Ma persino dopo le assunzioni, fanno notare i pm contabili, la “Siese ha continuato ad avvalersi dei servizi del socio privato per prestazioni da quest’ultimo valorizzate in 4 milioni di euro per il periodo tra il 22 dicembre 2013 3 il 30 giugno 2014)”.
Ma dalle carte che accusano il governatore, l’ex pm e gli allora assessori, emerge uno spaccato politico inquietante. Circostanze che affiorano anche dalle dichiarazioni degli assessori coinvolti e da alcune note della Guardia di Finanza. Un quadro nel quale le riunioni di “giunta, oltre che tenute anche alla presenza di soggetti non istutuzionalmente legittimati a parteciparvi, erano spesso connotate da improvvisazione incompatibile con la delicatezza delle questioni da trattare”. Una improvvisazione, registrano i pm contabili, che “non si giustificava con l’emergenza, bensì costituiva logico sviluppo di un modus operandi con cui la giunta, sovente, affrontava le questioni su cui deliberare”. E la scelta di far risorgere e di far “ripopolare” Sicilia e Servizi, insistono gli inquirenti, è frutto della volontà politica “non da tutti condivisa” del presidente Crocetta, che proprio per questo motivo decide di richidere un parere all’Avvocatura dello Stato. “Il presidente Crocetta nonché gli assessori e i dirigenti convenuti a giudizio – scrivono i pm contabili – inizialmente hanno voluto gestire la problematica della fuoriuscita del socio privato conformandosi al divieto leale di assunzione. Quindi, dopo la messa in liquidazione di Siese hanno dovuto repentinamente rinnegare la scelta di legalità per incapacità a gestirla”.
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28 Novembre 2014, 06:00