Dirigenti cacciati da Crocetta| Devono essere risarciti

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03 Settembre 2015, 13:29

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PALERMO – Un pasticcio da 450 mila euro. Che presto potrebbe prendere le sembienze del “danno”. Quello alle casse della Regione. Alle tasche, cioè, dei siciliani. Due sentenze tribunale del lavoro, a distanza di pochi mesi, hanno condannato il presidente della Regione Rosario Crocetta a “risarcire” due ex dirigenti generali esterni cacciati dal governatore pochi giorni dopo il suo insediamento.

Gianluca Galati e Ludovico Albert, capidipartimento rispettivamente all’Energia e alla Formazione professionale fino al novembre del 2012, avevano però sottoscritto un contratto che li legava alla Regione ancora per un po’. Ma Crocetta, nella “furia moralizzatrice” che accompagnò il suo arrivo a Palazzo d’Orleans, decise di andare avanti comunque. “Via dalla Regione”. Anche al costo, confermato dai tribunali, di corrispondere a questi dirigenti lo stipendio anche per il periodo in cui questi burocrati non hanno lavorato. Pagati per non lavorare. Mentre la Regione sborsava altre centinaia di migliaia di euro l’anno per garantire lo stipendio ai dirigenti generali scelti dallo stesso Crocetta al posto di quelli cacciati.

Erano l’alba dell’era Crocetta. Il governatore, eletto un mese prima, in conferenza stampa comunica di avere revocato gli incarichi di un gruppo di dirigenti generali interni (Gesualdo Campo, Francesco Nicosia, Ludovico Albert, Marco Salerno e Pietro Tolomeo) ed “esterni” (Biagio Bossone, Gianluca Galati e Ludovico Albert). Il motivo? Lo spiegava lo stesso governatore: “L’obiettivo – disse – è di avere solo 13-14 dirigenti regionali quanti sono i dipartimenti e gli assessorati. Ora sono 30. Ci sarà un risparmio notevole per la regione. Non è possibile – continuava Crocetta – avere due cariche dirigenziali in un unico settore come alle Foreste o all’Energia”. Inutile dire che il numero dei dirigenti generali non è mai mutato. Così come non è mai cambiato nulla in relazione alla presunta duplicazione dei ruoli.

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Ma al di là del racconto di uno dei primi bluff del presidente, resta il “danno” concreto. E attualissimo. E anche abbastanza prevedibile. Peccato che il governatore decida di chiedere un parere all’Aran (l’Agenzia che si occupa dei contratti dei dirigenti e guidata da Claudio Alongi, marito del segretario generale Patrizia Monterosso) solo a cose fatte. E l’Aran, in effetti, già nei primi mesi del 2013 è molto chiaro. Del resto, si limita a ricordare ciò che è previsto da una famosissima legge regionale: la numero 10 del 2000, quella che regola (e sotto certi aspetti “crea”) la popolosa dirigenza della Regione siciliana.

Per i tre direttori esterni (Albert, Galati e Bossone) secondo l’Aran, bisogna fare riferimento al’articolo 9 della legge che specifica le tutele nei confronti dei dirigenti ai quali viene revocato anzitempo l’incarico. “Per ciascun incarico – si legge – sono definiti contrattualmente l’oggetto, gli obiettivi e la durata. Gli incarichi di direzione delle strutture di massima dimensione (i dipartimenti appunto, ndr) possono essere confermati, revocati, modificati o rinnovati entro novanta giorni dall’elezione del Presidente e della Giunta regionale; se non si provvede entro tale termine l’incarico si intende confermato sino alla sua naturale scadenza”. Si tratta, insomma, del cosiddetto “spoil system”. Il nuovo governo può cambiare i direttori entro novanta giorni dall’insediamento. Ma anche in quel caso, a quei dirigenti va riconosciuto un indennizzo. Anche questo specificato dal contratto collettivo. “I dirigenti – si legge nel contratto – hanno diritto al trattamento economico fondamentale ed accessorio goduto fino alla scadenza naturale del contratto e comunque almeno per un anno o alternativamente ad un incarico equivalente”.

Era chiaro, insomma, che ai dirigenti sarebbe spettato lo stipendio, nonostante non lavorassero più per la Regione. E il principio è stato confermato, come detto, già da due sentenze di primo grado del tribunale del lavoro. A fine aprile, i giudici danno ragione a Gianluca Galati. Al dirigente, scrivono, la Regione dovrà garantire un indennizzo pari allo stipendio di un anno, sebbene il burocrate fosse ormai fuori dalla Regione. La cifra è pari a 173.826,10 euro. Regione condannata anche al pagamento delle spese processuali per 5.500 euro. Ancora più “salata” la sentenza nel caso di Ludovico Albert, giunta a fine luglio. I giudici, così come specificato già nel caso di Galati, affermano: “Non pare potersi dubitare del diritto del ricorrente a percepire il trattamento economico indicato dalla norma, non essendo stato prospettato del resto alcun valido motivo che escluda per il ricorrente tale indennizzo”. Indennizzo che in questo caso equivale a 275.055,95 euro. Un “totale” di 450 mila euro che la Regione dovrà sborsare per garantire lo stipendio di dirigenti che in quei mesi sono stati “costretti” a non lavorare, dopo la revoca di Crocetta. Un conto che potrebbe crescere ancora, visto che anche il terzo dirigente esterno cacciato da Crocetta, cioè l’ex ragioniere generale Biagio Bossone, ha avanzato un analogo ricorso, in attesa ancora di sentenza. Il “pasticcio” così, rischia di costare ai siciliani una cifra superiore ai 600 mila euro. Intanto la Regione ha deciso di appellarsi a quelle sentenze. Ma se anche la Corte dei conti decidesse di contestare a Crocetta quello che pare evidente dalle pronunce dei tribunali, il pasticcio potrebbe trasformarsi in un “danno”. All’erario. Cioè alle tasche dei cittadini.

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03 Settembre 2015, 13:29

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