16 Febbraio 2015, 06:00
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PALERMO – Adesso al presidente non resta che Lucia. Non resta che quel cognome, oltre il nome, a tenere in piedi l’impostura di una rivoluzione tramutatasi in una beffa. Altro che mettere sottosopra la Sicilia: Crocetta non decide più nulla. Al presidente è rimasta solo Lucia Borsellino. Se l’assessore confermerà l’ipotesi delle proprie dimissioni, verrà meno il “cuore” di questa esperienza politica. E in un certo senso verrebbe giù la vernice che aveva nascosto la ruggine. Oltre a lasciare libero il campo a una ipotesi-commissariamento che si aggiungerebbe agli altri più o meno palesi commissariamenti già in atto. Intanto, oggi il governo Renzi manda una “task force” a Catania per capire davvero cosa sia successo. E quali decisione prendere a quel punto.
Se Roma, insomma, deciderà di togliere dalla disponibilità della Sicilia il ricco giocattolo della Sanità, a quel punto l’Isola sarà tutta nelle mani della Capitale. Con un “re” spodestato, e tenuto “a bagnomaria”, a governare soltanto i balletti di consulenti e dirigenti che dirigeranno sempre meno. Le parole del ministro Beatrice Lorenzin possono essere discusse nel merito. Si può discutere, ad esempio, su quanto Roma sia responsabile delle storture della Sanità siciliana, o se invece, è tutta colpa degli amministratori siciliani, di questo e dei governi passati. Una cosa è certa. Parlare apertamente di commissariamento è il segno di una guerra in atto. Neppure più strisciante, ma palese. Aperta. Il governo Renzi sta strappando la Sicilia a Crocetta.
Le parole del ministro della Salute, infatti, si aggiungono a una condizione che un economista esperto come l’ex preside della Facoltà di Economia all’Università di Palermo, Vincenzo Fazio, parlando su Livesicilia dei conti della Regione, ha definito di “commissariamento nei fatti, al di là della forma”. Perché l’invio di un assessore come Alessandro Baccei, scelto dal sottosegretario del premier Graziano Delrio e indigesto a parte della maggioranza di Crocetta (a cominciare dai più vicini al presidente) era già un segnale evidente della progressiva esautorazione del governatore. Con sempre meno poteri. Sempre meno capacità di scegliere, decidere. Un commissariamento di fatto, quello di Roma sui conti. Conti che “quadreranno” solo se lo Stato aprirà la borsa e darà un po’ di respiro all’Isola. Un’eventualità che, se non suona come un ricatto (“O fai come diciamo noi, o niente soldi”), certamente rende assai stretti i margini di manovra di un presidente messo all’angolo. Commissariato.
Perché nel frattempo, per non farsi mancare niente, la Regione siciliana è stata commissariata anche sul tema dei depuratori. “Il governo non c’entra nulla – ha precisato Crocetta – a essere commissariati sono i Comuni inadempienti”. Sarà, fatto sta che su un altro settore affine, come quello dell’emergenza rifiuti, ecco che Crocetta ha subito un altro schiaffo dal governo Renzi. Si era spinto molto in là, il governatore, rendendo pubblico il proprio desiderio di un rinnovo dello stato di emergenza sulle discariche. Un atto che, nella pratica, renderebbe assai più veloci, ma anche del tutto dipendenti dalle decisioni dell’esecutivo regionale, i procedimenti per le autorizzazioni, gli ampliamenti, la creazione di nuovi centri di raccolta. E Renzi, anche su questo, ha detto “no” a Crocetta. Per due ordini di ragioni, pare. La prima è legata al fatto che il governatore si sarebbe presentato con una richiesta “in bianco”: un commissariamento senza limiti e restrizioni, che il governo Renzi ha scartato prima ancora di prenderlo in considerazione. E poi, fatto non così secondario, quella gestione commissariale avrebbe notevolmente svuotato di potere il ruolo attualmente ricoperto in giunta dall’ex pm Vania Contrafatto. Indicata proprio da Davide Faraone, renziano doc.
Picche. Anche lì. In quel settore dove Rosario Crocetta aveva scelto personalmente due figure “di assoluta garanzia”. Salvatore Calleri fu chiamato dalla Toscana per fare l’assessore lo spazio di sei mesi, prima di dimostrare la propria conoscenza delle cose sicule (“Chi è Giuseppe Alessi?” chiese) e ripiegare nel ruolo di semplice consulente del presidente. Nicolò Marino fu invece scelto, fin dai primissimi giorni, per puntellare, con la solita zeppa antimafia, la giunta che avrebbe ben presto iniziato comunque a vacillare. Il primo vero “colpo” all’esperienza rivoluzionaria di Crocetta arrivò lì, con l’addio dell’ex pm di Caltanissetta . Anzi, un po’ prima. Quando il governatore arrivò a rimangiarsi una promessa che aveva disseminato per le strade del Ragusano, nel corso della sua campagna elettorale: no al Muos. Poi, la retromarcia imbarazzante. Con tanto di dichiarazioni su rischi simili a quelli corsi in Sicilia da Enrico Mattei, e col coinvolgimento di fantomatici ambasciatori. Ma sul Muos, Crocetta è riuscito a fare un capolavoro. Ha detto “no” quando era il caso di dire “forse”, ha detto “sì” quando era il caso di dire “no”, e adesso dice di aver detto di “no” anche nell’occasione in cui ha detto “sì”. Occasione certificata, tanto per cambiare, dal Tar Sicilia che ha dato ragione ai cittadini di Niscemi e ha negato le autorizzazioni concesse dalla Regione. Insomma, Crocetta è riuscito a farsi “commissariare” anche dal Tar che gli ha imposto una decisione che lui aveva apparentemente preso, per poi cambiare idea. “Quella scelta l’abbiamo subita”, ha commentato il governatore. Si era trattato, evidentemente, solo del primo commissariamento al quale Crocetta ha dovuto piegarsi.
Addio Marino, addio alla battaglia no-Muos e addio anche al sogno della “prima Regione in Italia ad aver abolito le Province”. Partito per primo, almeno in televisione, il governatore ha finito per incartarsi. Adesso, in enorme ritardo rispetto al resto d’Italia, Crocetta si sta facendo convincere dalla sua maggioranza ad applicare il decreto del sottosegretario Delrio (rieccolo). Alla faccia della “riforma epocale”.
Non è rimasto niente di quella rivoluzione, al presidente. Solo Lucia. Solo il suo cognome e il suo volto pulito che al presidente è spesso tornato buono per riempire le voragini e saldare le fratture di una gestione amministrativa inconcludente, confusa, inefficace. Resta solo Lucia. A un passo dall’addio. Dopo, guarda un po’, l’ultima bacchettata di Roma sulle dita del governo regionale. Dopo l’ennesima ipotesi di commissariamento. Che racconta una storia fin troppo evidente: il re di Sicilia ha perso il suo trono. Rosario Crocetta governa, ma sono gli altri a prendere le decisioni.
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16 Febbraio 2015, 06:00