25 Gennaio 2017, 20:21
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E’ un numero quando alle 15 e 50 Totò Cuffaro, ex governatore regionale della Sicilia, condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra, viene proclamato dal presidente della commissione di laurea Guido Alpa “dottore in giurisprudenza” con 110 e lode. Il numero di matricola campeggia nell’elenco esposto fuori dall’aula: «1441654». Un numero che a Cuffaro ricorda le regionali del 2001 quando “Vasa Vasa” ottenne 1.572.178 preferenze e scalò così palazzo d’Orleans: «Una volta erano voti, oggi è un numero di matricola». E’ emozionato «Totò», abito blu d’ordinanza e cravatta a righe celeste, prima di dissertare la sua tesi sul “Contrasto al sovraffollamento carcerario, tra Costituzione e Convenzione europea”. «Emozionato» perché è stata una notte insonne quella trascorsa nella sua casa romana a pochi metri dal Pantheon. Come un flashback: «Mi sono tornati in mente i cinque anni trascorsi dentro una cella. Anni duri perché le giornate in carcere non ti passano. E non ti passano le notti. Io aspettavo il far della sera per studiare e leggere. Perché soltanto in quel momento calava il silenzio e potevo concentrarmi. Lo studio è stato provvidenziale per la mia esistenza».
L’ex governatore non ha diffuso la voce che si sarebbe laureato quest’oggi. «L’avevo detto soltanto a mia moglie e ai miei figli» confessa alla Stampa tra un saluto e un selfie con il fratello Silvio. Poi però, la voce si è diffusa e «ho ricevuto più di tremila telefonate da ieri». Da parte di chi? Di politici, di ex collaboratori degli anni alla regione Sicilia? «Sento tutti: Saverio Romano, Renato Schifani, Lorenzo Cesa…». Il cellulare continua a squillare, ma lui preferisce non rispondere: «Questa sera quando sarò in tranquillità richiamerò chi mi ha cercato e scriverò centinaia di messaggi».
La moglie Giacoma, che da sempre è defilata, siede in un angolo del salone della Sapienza in attesa che inizi la discussione. In tailleur nero e occhiali con lenti transition la signora Cuffaro preferisce stare lontana dai cronisti e dalle telecamere. «No, no, lei non parla», sussurra l’ex governatore. Il suo è un silenzio che dura anni e che «mia moglie ha sempre mantenuto anche durante la presidenza della regione». A un certo punto è il turno dei figli Ida e Raffaele, quest’ultimo accompagnato dalla fidanzata assicura di essere «orgoglioso» di papà. In fondo, in questi anni, come non smette di ripetere Cuffaro, «i ruoli si sono invertiti: sono diventato io il figlio. Mentre loro mi hanno fatto e mi fanno da padre. Essendo stato in carcere a lungo non ho potuto partecipare alla laurea di Ida e Raffaele, i miei gioielli».
Alla Sapienza non ci sono le folle oceaniche di quando arringava i sostenitori del centrodestra nei palazzetti dello sport di mezza Sicilia. Nell’aula della Sapienza ci sono soltanto i suoi cari e un gruppo di volontari, fra cui Silvia, «che hanno accompagnato il mio percorso universitario a Rebibbia». Tutti lo baciano e lo stringono perché «Totò è stato un allievo esemplare, stimolante, uno di quelli con il quale si discute con piacere». Non rimpiange il passato e il potere. Ma certamente ricorda con affetto e orgoglio gli anni in cui è stato il re di Sicilia: «Essere eletto dalle persone con grande affetto è stato bellissimo. Rifarei il presidente della regione anche sapendo che mi riporterebbe in galera».
La politica resta comunque più che una passione. «E’ stata la mia vita», mormora con le lacrime agli occhi mentre osserva con l’occhio sinistro la moglie Giacoma. Alle 15 e 30 è il suo turno. «Chiamate il candidato Cuffaro» filtra dalla commissione di laurea. I laurendi non riconoscono il volto dell’ex governatore siciliano condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra. Uno di loro si lascia scappare: «Ma chi è questo? Non l’ho mai visto. Perché ci sono queste telecamere?». La mamma del ragazzo di cui sopra fa segno con la mano, salvo poi riferirgli: «Quello è Cuffaro, è stato condannato per Mafia». Chiusa la porta dell’aula il candidato Cuffaro espone il suo elaborato: «Il carcere non è storia di corpi ma di anime. Il detenuto è un uomo che va rispettato anche se non ha avuto rispetto, e forse non ne ha». La commissione ascolta con attenzione e prende nota delle parole dell’ex presidente della Sicilia. Uno dei membri della commissione domanda: «Come si può intervenire per migliorare la condizione delle carceri?». Cuffaro si ferma un attimo e replica così: «In carcere le piccole cose diventano straordinariamente importanti. Non c’è bisogno degli stati generali per consentire ai detenuti di fare una doccia calda. Noi eravamo 50 nel nostro reparto ma l’acqua calda era sufficiente per le prime docce. Non c’è bisogno degli stati generali della giustizia per introdurre le zanzariere a Rebibbia.». Il presidente Alpa frena il candidato e conclude: «Per me può bastare». Cuffaro si alza e si dirige verso l’esterno dell’aula. Scende una lacrima: «Avevo una missione: far conoscere al mondo esterno cosa succede in quelle maledette celle».
Pochi minuto dopo, Cuffaro diventa dottore in giurisprudenza con 110 e la lode. L’ex democristiano ringrazia la commissione e lascia l’università con i figli e la moglie. Qualche lacrima scorre nel viso dell’ex dirigente dell’Udc. Raffaele abbraccia il padre: «Sei stato bravissimo». La moglie Giacoma gli consegna una corona di rosmarino e non di alloro: «Sapete perché? Perché il rosmarino rappresenta il profumo di Sicilia, mentre l’alloro rappresenta il potere e il governo». Un giovane dottorato di nome Mario si avvicina e gli confido: «Sono siciliano come lei e lavoro in questa università. Sono venuto fin qui perché lei è l’unico politico che ha fatto il carcere con dignità». Fuori ad aspettarlo pezzi di vita politica. Ecco infatti Saverio Romano, braccio destro negli anni d’oro in Sicilia e oggi verdiniano, e l’ex presidente del Senato Renato Schifani. Il primo gli ha regalato una sciarpa in cashemire. Il secondo un libro su Papa Francesco. Cuffaro abbraccia entrambi. Qualcuno sostiene che l’ex governatore sia tornato a fare politica attiva e a manovrare le sue truppe ormai sparse nel centrosinistra e nel centrodestra. Una sorta di padre nobile. «Ma quale?» sbotta. «Io faccio soltanto il padre dei miei figli». Anche se prima di lasciare la Sapienza confessa che «se qualcuno volesse posso sempre dispensare consigli».
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25 Gennaio 2017, 20:21