Marino, Alfano, cercando Grasso | Crocetta e le “figurine” antimafia

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18 Ottobre 2014, 17:31

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PALERMO – “Sonia Alfano? Per carità, con Nicolò Marino e Beppe Lumia c’è già abbastanza antimafia nella lista del Megafono”. Era il gennaio del 2013. E l’album delle figurine antimafia era pieno. Non c’era spazio per l’europarlementare che fu presidente proprio della commissione a Bruxelles che si occupa di criminalità organizzata. Il vicepresidente di quella commissione era Rosario Crocetta. Che in quei giorni in cui stava per essere chiusa la lista del suo movimento in vista delle elezioni del Senato, “snobbava” la Alfano. Quest’ultima replicava, a dire il vero: “Persone vicine a Crocetta mi hanno cercato, ma il Megafono non mi interessa”. Passa un anno e mezzo e Sonia Alfano, invece, dopo il rifiuto si scopre più interessata ai rifiuti. Crocetta l’ha scelta per guidare l’Ato Belice Ambiente a Trapani. Lì, forse, non c’era abbastanza “antimafia”. “Dovremo avere la certezza – ha commentato la Alfano – che tutti coloro che lavorano nell’Ato siano estranei a connivenze, per la mafia i rifiuti sono oro”.

Già, perché a dire il vero la matrice antimafiosa sembra prevalere su ogni altra valutazione. In certi casi persino soppiantarle. In un caso, però, cognome e competenze hanno trovato una sintesi efficace. Lucia Borsellino, in fondo, era stata per anni dirigente proprio dell’assessorato Sanità che adesso guida. Fu lei la prima componente della giunta “della rivoluzione” scelta dal governatore. Lucia Borsellino, un cognome contro il quale Crocetta si era “scontrato” (da punto di vista politico, è ovvio) quando l’allora europarlamentare del Pd appoggiò la corsa di Fabrizio Ferrandelli alle primarie per sindaco di Palermo, contro Rita Borsellino, appunto. Ci sono “figurine e figurine”, insomma.

E del resto il confine tra l’antimafia e “l’anti-antimafia” è così sottile che basta un sospiro per confondere i due piani. La vicenda Nicolò Marino ne è l’esempio più vivido. Quando fu scelto, per guidare il delicatissimo settore dell’Energia (che vuol dire anche Eolico, fotovoltaico, acqua e rifiuti), Rosario Crocetta si affidò appunto a un’altra figurina antimafia che lui conosceva benissimo. Magistrato a Caltanissetta, a due passi dalla città d’origine del presidente, Marino nella sua carriera si era occupato anche di indagini sulle stragi di mafia. Più antimafia di così… E invece, ecco che la storia di Nicolò Marino si infrange intanto contro altre figurine. Quella della Confindustria nissena di Antonello Montante, tra i fautori, insieme a Ivan Lo Bello di quella svolta antiracket degli industriali siciliani alla quale Crocetta decise di dedicare un intero capitolo della sua recente biografia. Contro alcuni esponenti di Confindustria Marino sarà durissimo. E anche sulla soglia dell’assessorato l’ex pm non ha risparmiato strali: “Quella di Crocetta è un’antimafia di facciata, fasulla”.

Giusto per gradire, allora, il presidente rispose andando a pescare sempre dalle bustine degli “antimafiosi” per colmare la casellina da cui si era stata tirata via la figurina di Marino (un po’ come avviene per quelle dei calciatori, dopo il mercato di “riparazione”) affidandosi a Salvatore Calleri. Chi fosse, quando fu annunciato il nome del nuovo assessore all’Energia, nessuno lo sapeva. Quali competenze ed eseperienze sul campo possedesse, non era noto a nessuno, in Sicilia. Ma una cosa era certa. L’assessore era certamente “antimafia”: visto che è stato uno dei più stretti collaboratori di Antonino Caponnetto dal 1992, all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio, fino al 2002, quando “nonno Nino” è morto. Dalla morte del creatore del pool antimafia, Calleri è stato presidente della Fondazione intitolata alla memoria di Caponnetto. Ed è fra i leader toscani del Megafono.

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Ad affiancare in giunta Calleri, da qualche settimana, è Piergiorgio Gerratana. Che soddisfava innanzitutto due requisiti utili a quella nomina: renziano e di Siracusa. Già che c’è, però, il presidente ha sottolineato il valore “simbolico” della scelta di un giovane che era stato oggetto di alcuni atti intimidatori. Un po’ come accaduto a un’altra delle bandiere antimafia sventolate da Rosario Crocetta: per Alfonso Cicero, il governatore è sceso in campo in prima persona, nei giorni in cui si metteva in discussione la legittimità della nomina all’Isap di quell’amministratore che fu vicinissimo a Lombardo (si candiidò anche con l’Mpa alle elezioni a sindaco di Caltanissetta) per poi conventirsi alla causa legalitaria della Confindustria, nel nome della quale ha portato avanti la sua “guerra” alle infiltrazioni mafiose nelle ex Asi. “Chi attacca Cicero – disse un giorno Crocetta in una tsa conferenza stampa – è dalla parte della mafia”.

Che si sa, in fondo, che la mafia si batte anche così. Appiccicando figurine sulla spaziosa carrozzeria del sottogoverno siciliano. E anche il caso di Antonio Ingroia, in questo senso, è emblematico. Prima, serviva una guida a Riscossione Sicilia (“L’unico gabelliere d’Italia in perdita – disse Crocetta – ci sarà un motivo”). Per scoprire il motivo, il governatore scelse di mandare lo “sceriffo”: Antonio Ingroia. Ma il Csm in quell’occasione alzò paletta rossa. Poco male. A Sicilia e-Servizi lavora addirittura la figlia incensurata di un boss. Quanto basta per “ricollocare” lì l’ex pm, per mettere alla porta la signora, per far resuscitare una società già da anni in liquidazione e per provare anche a togliere il limite allo stipendio di Ingroia e di altri amministratori. Tentativo fallito, quest’ultimo, di fronte al no dei soliti deputati regionali. Ma per Ingroia, poco dopo, ecco giungere un altro incarico. Si libera la poltrona di commissario della Provincia di Trapani. Lì il gioco è fin troppo semplice: Trapani fa rima con Messina Denaro. E così il presidente si spinge a dichiarare che la nomina di Ingroia al vertice dell’ente “potrà dare un impulso alle indagini sul latitante”. Dimenticando che il commissario straordinario di una provincia non somiglia nemmeno da lontano a un commissario di polizia.

Ma tant’è. La “cifra” antimafia è una cifra universale. Chiave che apre tutte le porte. Anche quelle più adatte per una recita, per la messa in scena, per l’impostura: quelle di un teatro. Valeria Grasso, imprenditrice che ha denunciato i suoi estortori, viene scelta come Sovrintendente della Fondazione orchestra sinfonica siciliana. Le competenze? Nessuna, dal punto di vista artistico. Come ammette onestamente la stessa Grasso. “Mi è stato detto che la mia nomina era legata – spiega – alla mia esperienza di imprenditrice”. Ma la storia “antiracket” anche in questo caso recita una parte fondamentale. Se non fosse per il cognome. Quel cognome così sfortunato, però, nella microstoria della Regione siciliana. Valeria Grasso, dopo pochi mesi, non è più il sovrintendente. “Si sono dimenticati di me”, confessa a Livesicilia. Dimenticando forse che a un suo omonimo era andata ancora peggio. “Abbiamo deciso – annunciò Rosario Crocetta qualche mese fa – di affidare il dipartimento tecnico, che dovrà valutare tutti gli appalti della Sicilia a una personalità come Tano Grasso. E’ una scelta di particolare rilievo. Da tale dipartimento dipenderà anche l’osservatorio regionale per i lavori pubblici e quindi la politica di legalità e di controllo che il governo Crocetta intende portare avanti, viene potenziata con la massima espressione antiracket italiana”. Da allora, Tano Grasso attende la chiamata. Ma non si insedierà mai. La sua figurina non è mai stata rinvenuta. La sua casella, nell’album dell’antimafia è ancora vuota.

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18 Ottobre 2014, 17:31

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