23 Luglio 2017, 05:46
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CATANIA – Decidono di cambiare vita. Di vuotare il sacco e raccontare malefatte e reati alla magistratura. Boss, killer, spacciatori, soldati della mafia passano dall’altra parte della barricata e scelgono di diventare “collaboratori di giustizia”. Si chiamano “pentiti”. Negli ultimi due anni a Catania se ne contano decine. Un lungo elenco, che parte da Davide Seminara, l’ex soldato dei Nizza che ha permesso di scovare il nascondiglio di un maxi arsenale di guerra a Librino, passando da Fabrizio Nizza, uomo d’onore che ha puntato il dito sui suoi fratelli (Andrea e Daniele) accusandoli anche di omicidi, per concludere con Carmelo Aldo Navarria, il killer dei Malpassatu che dopo 26 anni di carcere sarebbe entrato nella corte dei Santapaola. Un esercito di pentiti che i giudici sono chiamati a valutare per la loro attendibilità. Un compito delicato. Anzi delicatissimo.
Tante sono le defezioni al crimine organizzato che si sono registrate in questi mesi. Partiamo da Librino. Dalla roccaforte della droga. Dal centro nevralgico dello spaccio di marijuana e cocaina. Fabrizio Nizza, battezzato da Santo La Causa (un altro boss di calibro di Cosa nostra catanese diventato pentito), ha scelto di diventare collaboratore di giustizia mentre si stava svolgendo il processo Stella Polare (2015). Il blitz aveva decapitato il potere dei Nizza, che nel 2009 (approfittando degli arresti dei Carateddi nel blitz Revenge) avevano conquistato quasi tutte le piazze di spaccio di San Cristoforo. Le sue rivelazioni sono entrate in diverse inchieste: omicidi, estorsioni e traffico di droga. E’ stato anche sentito in alcuni processi che vedono alla sbarra i suoi fratelli: Andrea, Daniele, Giovanni e Salvatore Nizza. Le reazioni al suo pentimento a Librino sono state seguite in diretta dai carabinieri. “E’ come Santo La Causa”, dicevano i picciotti. Si è pentito anche Salvatore Cristaudo, ex soldato di Andrea Nizza (il superlatitante catturato a gennaio dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Catania). Il collaboratore di giustizia aveva indicato alla magistratura anche il luogo dove era stato seppellito il cadavere di Giuseppe Rizzotto, reggente del gruppo del Villaggio Sant’Agata, vittima di lupara bianca nel 2011. Quel corpo però nonostante le indicazioni di Cristaudo non è stato ritrovato. Un altro pentito proveniente dalle file dei Nizza è Carmelo Distefano, che nel 2012 fugge da Catania perché sarebbe stato bersaglio di Daniele Nizza. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sono finite in diversi processi per mafia, ma anche nell’ultima inchiesta Carthago 2 che poche settimana fa ha decapitato la nuova cupola dello spaccio di San Cristoforo. Le sue rivelazioni potrebbero portare input investigativi anche per indagini riguardanti i canali di reperimento della droga, Distefano aveva importanti contatti con i fornitori napoletani. L’ultimo collaboratore in ordine di tempo proveniente dal gruppo dei Nizza è Angelo Bombace. I suoi verbali sono entrati nell’inchiesta Polaris che ha disarticolato la piazza di spaccio che sarebbe stata gestita da Salvatore Nizza, uno dei fratelli che era rimasto fuori dal carcere. Ma Bombace è stato anche ascoltato nel processo d’appello che vede Andrea Nizza accusato di omicidio.
Natale Raccuia ha scelto di voltare le spalle al crimine. Era uno dei “bodyguard” di Vincenzo Aiello, capo storico dei Santapaola-Ercolano. Le sue dichiarazioni sono già state acquisite nel processo Kronos, che ha portato alla sbarra la nuova cupola di Cosa nostra catanese.
Il puzzle si completa con diversi collaboratori di giustizia provenienti dall’hinterland e dai paesi etnei: Lineri, Misterbianco, Belpasso, Adrano e Paternò. Natale Cavallaro, ad esempio, è un ex esponente dei Tuppi di Misterbianco. Il clan Nicotra avrebbe avuto contatti con i Carcagnusi di Nuccio Mazzei. Le rivelazioni di Cavallaro, infatti, sono finiti nei faldoni dei processi sui Mazzei ed anche in alcuni provvedimenti di misure di prevenzione che hanno portato al sequestro del patrimonio di William Cerbo, noto come lo scarface catanese.
Quattro i nomi della mala di Adrano che hanno fatto scricchiolare gli assetti della mafia nel cosiddetto triangolo della morte. Giuseppe Liotta (specializzato in rapine) i cui verbali sono entrati in processi importanti che vedono alla sbarra gli Scalisi di Adrano, Gaetano Di Marco, ex boss dei Laudani di Adrano, che ha dato una svolta all’indagine dell’omicidio di Maurizio Maccarrone freddato il 14 novembre 2014, il giovane Salvatore Paterniti Martello e Antonino Zignale, detto U Ruvettu. Tutti e quattro i nomi dei pentiti compaiono nell’ordinanza Illegal Duty che ha sferrato un nuovo colpo alla mafia adranita.
Francesco Musumarra, detto Cioccolata, ex “patrozzo” del clan Murabito-Rapisarda, quando ha deciso di entrare nel programma di collaborazione è stato rinnegato dalla madre. Il killer di Paternò ha raccontato nel dettaglio l’agghiacciante agguato in cui rimase vittima Turi Leanza.
Un altro killer che ha deciso di parlare con i magistrati è Carmelo Aldo Navarria: l’ex Malpassutu è accusato di essere diventato il capo dei Santapaola a Belpasso. Appena fuori dal carcere, dopo 26 anni e diverse condanne per omicidio, si sarebbe macchiato le mani nuovamente di sangue. Ad incastrarlo un altro pentito, Francesco Carmeci che ha fornito input investigativi importanti per risolvere il delitto di Renato Caponnetto. Ma oltre a Navarria, hanno deciso di collaborare con la magistratura anche Gianluca e Mirko Presti, uomini di fiducia dell’ex spazzino dei Malpassotu.
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23 Luglio 2017, 05:46