22 Giugno 2016, 14:43
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GELA (CALTANISSETTA) – Un curriculum criminale degno di nota negli ambienti della malavita organizzata. Classe 1984, a 32 anni, otto dei quali trascorsi dietro le sbarre, Gianluca Pellegrino sembrerebbe un indiscusso protagonista di Cosa nostra a Gela. Da sempre vicino alla famiglia Emmanuello, è nuovamente finito nell’occhio della magistratura con l’operazione “Falco”. Per lui l’accusa è nuovamente di associazione mafiosa armata e dedita allo spaccio di sostanza stupefacente. Dal 2003 al 2011, mentre si trovava rinchiuso in carcere, non ha mai abbandonato l’idea di riorganizzare la cosca, chiedendo di diventare un uomo d’onore.
Grazie al suo particolare ‘attivismo’ gli Emmanuello gli hanno consentito di sedere allo stesso tavolo delle spartizioni. “Figlioccio” di Francesco Vella, un passato da reggente in Cosa nostra, oggi collaboratore di giustizia, il nome del giovane compare nei verbali delle dichiarazioni di numerosi altri collaboratori: Salvatore Cavaleri, Angelo Cavaleri, Paolo Portelli, Crocifisso Smorta, Fortunato Ferracane, Massimo Carmelo Billizzi e Gianluca Gammino che ne hanno tratteggiato una “caratura criminale – sostengono gli inquirenti – particolarmente spiccata”. Da sempre vicino agli Emmanuello, per conto dei quali si è anche occupato, sin da giovanissimo, della gestione della droga, Pellegrino è stato anche citato dai collaboratori Emanuele Cascino e Davide Nicastro che hanno riferito agli inquirenti del suo impegno nel settore delle estorsioni.
Anche Davide Trubia ha ammesso di essere stato complice del Pellegrino di una richiesta estorsiva nei confronti di 12 commercianti di via Venezia, a Gela. I fatti risalgono al 2003. Secondo gli inquirenti, Gianluca Pellegrino, una volta uscito dal carcere, approfittando anche dello stato di detenzione di tutti i “vecchi” componenti del gruppo mafioso Emmanuello, avrebbe riallacciato i contatti con i sodali con il ruolo di protagonista per consolidare il potere mafioso e risollevare le sorti della cosca. Nella sua lunga carriera di ricostruzione è riuscito a coinvolgere anche l’altra anima della famiglia di Cosa nostra, quella dei Rinzivillo, stringendo rapporti con l’ex collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano e la stidda con cui avrebbe condiviso il traffico estorsivo, ma non il mercato della droga. Intessendo rapporti con Alessandro Barbieri avrebbe intrecciato i suoi interessi con la cosca nissena per ricostituire la provincia mafiosa per poi diventarne – stando agli inquirenti – rappresentante. Nel 2011, tornato in libertà, la polizia non lo ha mai perso di vista. In un episodio gli investigatori hanno accertato che fu il mandante di un incendio ai danni dell’abitazione di un imprenditore che si era rifiutato di versare il pizzo nelle casse della mafia.
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22 Giugno 2016, 14:43